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Mieli sospeso tra Saccà e Mengozzi

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Fino a tarda sera contatti tra il neo-designato e il Tesoro anche per la definizione del contratto

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Non sarà facile che il neo-presidente ceda sulle sue volontà espresse a Tremonti, con il quale oggi avrà un incontro chiarificatore e definitivo. Mieli vuole Francesco Mengozzi o Claudio Cappon e sicuramente non vuole Agostino Saccà. Mentre non è altrettanto facile, che dopo il presidente di garanzia, Silvio Berlusconi accetti anche un direttore generale non in perfetta sintonia con lui. Insomma, Saccà è ancora l'ago della bilancia e non è detta l'ultima parola. Anche se l'ipotesi di una tripla o quadrupla vicedirezione (con An, Fi e Lega e Udc con funzione di controllo) potrebbe servire a far passare un tecnico come Mengozzi. «Non c'è nessuna novità, non ho sciolto la riserva», si limita a dire Mieli, mentre si rincorrono insistenti le voci su una sua possibile rinuncia all'incarico che i presidenti di Camera e Senato gli hanno affidato. Si è parlato anche molto del problema contrattuale. Di quei 600 mila euro che il direttore editoriale della Rcs vorrebbe per non far marcia indietro rispetto al suo compenso attuale. Ne ha parlato anche con alcuni dei consiglieri che gli hanno telefonato per sapere notizie. Per lui si tratta di legge di mercato e si potrebbe estendere anche agli altri consiglieri, ma su questo punto non tutti sono d'accordo: «Ma come, veniamo chiamati a lavorare per il servizio pubblico che è in crisi e come prima cosa chiediamo un aumento? Non mi pare eticamente corretto», sottolinea un consigliere che trova «quattro giorni di attesa veramente troppi». «Bisogna avere pazienza», suggerisce un altro, forse pensando che la soluzione è vicina. La questione dello stipendio del presidente però ieri sera sembrava già risolta. «In una Rai dove sono stati strapagati per anni e anni comici di dubbio gusto e vallette di dubbia avvenenza - dice in proposito il capogruppo dell'Udc alla Camera Luca Volontè, dimostrando la volontà di una parte della maggioranza di arrivare presto ad una soluzione - sarebbe davvero bizzarro dedicare tutto il rigore solo agli emolumenti del Presidente e dei nuovi consiglieri». Perchè è chiaro che aumentando lo stipendio del presidente dovrebbero aumentare anche quelli del direttore generale, che è già superiore e del resto del Cda di Viale Mazzini. Ed è proprio a Tremonti che si rivolge ancora Volontè. «Siamo certi - dice - che il ministro dell'Economia terrà nel giusto conto queste considerazioni». Sul direttore generale, invece la guerra è aspra anche se ci sarebbe per alcuni la possibilità di conciliere il tutto con Mauro Masi, il quale taglia corto: «Sono un funzionario pubblico, non ho nulla da dire». Certo, un no di Mieli riporterebbe la questione Rai in alto mare. E il leader della Margherita Francesco Rutelli, è convinto che «tremende resistenze sono in atto per far fallire questa possibile svolta». Ieri nonostante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle nomine dei nuovi cinque consiglieri Rai, il lavoro del Cda di Mieli, Alberoni, Petroni, Rumi e Veneziani non è iniziato, anzi oggi si vedranno in Rai ancora i «giapponesi», perché il consigliere anziano Alberoni non ha inviato alcuna convocazione. Se la invierà oggi il CdA si potrebbe riunire venerdì, o al massimo lunedì. Intanto, Pera e Casini dicono di non aver ricevuto missive da Mieli negli ultimi due giorni, smentendo così alcune indiscrezioni circolate, ma fanno anche intendere che con la nomina del Cda loro hanno svolto il loro compito, e quindi non ci sono riserve da sciogliere perchè il presidente o accetta l'incarico o si dimette. Ieri sera il leader leghista Bossi ha lanciato la sua benedizione su quanto chiesto da Mieli: «Mi sembra un atteggiamento da sessantottino individualista», ribadendo che «dopo la rete Rai al nord il secondo passo sarà la rete Rai al sud. Nel Cda - ha poi detto il leader del Carroccio - non ci sono uomini della Lega, ma possiamo dire che ci sono persone di idee federaliste come Petroni o Rumi che mi pare sia stato allievo

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