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«Mieli presidente ma senza condizioni»

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Dopo le polemiche roventi Santoro ci ripensa: «Se me lo chiede lui posso cambiare le regole»

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Paolo Mieli, neo-presidente della Rai, ha dato buca al presidente del Senato Marcello Pera, facendogli sapere ieri mattina che non sarebbe venuto né al pranzo né alla conferenza di Bernard Lewis. Solo in serata Mieli ha telefonato al presidente Pera, scusandosi per non aver potuto, per un impegno precedente, partecipare alla colazione. Un atto di correttezza nei confronti dei suoi colleghi del Consiglio non presenti all'incontro? Un semplice disguido dell'ultimo momento o un segnale negativo riguardante la «riserva» da sciogliere? In ogni caso il silenzio del presidente in pectore di viale Mazzini è considerato «strano» da alcuni fra i consiglieri, che aspettano una convocazione da parte del consigliere anziano Rumi, dopo la pubblicazione di oggi sulla Gazzetta Ufficiale. La prima riunione del Consiglio infatti, dovrebbe tenersi giovedì o venerdì, se Mieli accetterà l'incarico. Comunque «le condizioni poste da Paolo Mieli non intralceranno la nascita del nuovo Cda della Rai», afferma il neo consigliere Marcello Veneziani, (riferendosi a quanto detto da Mieli sulla massima libertà sul dg e su Biagi e Santoro). «Le sue condizioni non sono da considerare un diktat - dice - Mieli esercita una funzione di garanzia anche nei confronti delle opposizioni, quindi, in questo senso, vanno interpretare e non credo possano ostacolare l'insediamento del nuovo Cda». Veneziani ha confermato di aver ricevuto la lettera di nomina dei presidenti delle Camere e conferma, seppur usando il condizionale, che i nuovi vertici di viale Mazzini si vedranno giovedì. Seguendo la prassi, che vuole il nuovo Cda ricevuto dai presidenti delle Camere prima di entrare a pieno regime, mercoledì sera potrebbe esserci una cena con Pera e Casini. Se il giudizio dei vescovi sul CdA è del tutto positivo, lo sbarramento è totale da parte della maggioranza nei confronti delle ormai celebri «condizioni» poste da Mieli per accettare l'incarico. Soprattutto in merito all'ipotesi di un ritorno in Tv di Santoro, il quale ieri ha fatto un'altra sparata delle sue, sbandierando il vessillo della libertà di espressione e affermando: «Non lasceremo solo Mieli». Alle affermazioni di Santoro, Francesco Storace replica: «Usa le parole come pallottole. Non chiedo affatto che Santoro cambi la sua natura». Negativo anche il portavoce di An Mario Landolfi che sostiene: «Dovrebbe smettere di fare politica militante e ammettere la propria faziosità». Mieli è «una personalità rilevante, ma la legge è un vincolo anche per lui. Non è un commissario unico, dovrà confrontarsi con gli altri consiglieri», afferma il ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, mentre il capogruppo di An Ignazio La Russa dà un «affettuoso consiglio a Mieli: farebbe bene a non entrare nè con lo spirito di sottomissione nè con quello di restaurazione». Dello stesso parere Paolo Romani di Fi: «Ho trovato improprio il rituale che si ponessero condizioni per l'accettazione di una candidatura da qualcuno che, a questo punto, è consigliere di amministrazione della Rai». Sul fronte opposto, Francesco Rutelli, che rivendica la paternità della proposta Mieli, sostiene che il neo-presidente «non risponde e non deve rispondere ad alcun comando politico», della maggioranza, naturalmente, secondo lui. In serata però anche Santoro sembra ritrovare un barlume di saggezza e tornando sui suoi passi, diventa più conciliante. Insomma, se glielo chiedesse Mieli, cambierebbe anche le sue regole: «Se i politici parlano di autocritica, sento puzza di bruciato - spiega Santoro - ma se la questione parte dall'azienda, coinvolgendo la categoria dei giornalisti in un percorso di deontologia sull'informazione nel servizio pubblico, mi troverebbe ben disposto». A giorni la vera partita si giocherà però sul direttore generale. Ieri il presidente uscente Baldassarre ha sferrato un duro attacco ad Agostino Saccà affermando che è stato lui a «frenare la sua volontà di riforma». Se la Lega continua a ch

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