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I MERCATI ASPETTANO LA GUERRA

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Lo spettro della guerra e del terrorismo - entrambe le minacce procedono in modo parallelo - ingenerano confusione sulle prospettive delle economie europee e mondiali. Moralmente non si può che auspicare la pace e non si può non riflettere sui guasti, sui dolori, sulle conseguenze che un conflitto procura. Ma, nello stesso tempo, non si può non ricordare l'11 settembre e il raccapriccio che si prova per le continue azioni terroristiche, orchestrate dal grande vecchio - invisibile nemico - che opera dietro le quinte. I mercati finanziari, però, non hanno un'anima. Si muovono seguendo logiche molto spesso incomprensibili, per gli addetti ai lavori come per gli economisti. Su un punto però tutti concordano: i mercati non sopportano l'incertezza. Se guerra ci deve essere, che ci sia (ci si perdoni il cinismo) e sia di breve durata. La gente avverte intorno a sé questo momento di attesa che provoca inazione e ne trae le conseguenze. L'uomo della strada è preoccupato, spende meno e risparmia di più. L'introduzione dell'euro ha fatto percepire alle famiglie un innalzamento dei prezzi di largo consumo e comprendere che sono lievitati per un fenomeno che non deriva né da una ripresa della domanda, né dai fenomeni inflazionistici. L'euro è entrato nelle abitudini e nei borsellini delle persone senza colpo ferire e, da questo punto di vista, si può affermare che le Banche centrali hanno condotto l'operazione in modo tecnicamente perfetto. Nel nostro paese l'adozione dell'euro ha significato un forte abbassamento dei tassi di interesse che ora, a seguito della recente decisione della Bce, si sono ridotti ancora di un quarto di punto, portando il livello alla quota di 2,50%, mai raggiunta in precedenza. Sulla decisione si sono levate molte critiche perchè la diminuzione attesa era dello 0,50%. Questa prudenza viene molto criticata: l'euro rende più del dollaro e, nei confronti di quest'ultimo, seguiterà a rafforzarsi, con grave danno per le esportazioni dei paesi di Eurolandia. Pur sapendo di andare controcorrente, le argomentazioni a favore di un tasso più basso non mi trovano del tutto d'accordo. Il risparmio è il motore dell'economia. La gente deve spendere e risparmiare allo stesso tempo. Se non spende e non risparmia si inceppa tutto. Ma il risparmio deve anche rendere quel tanto da consentire un accumulo progressivo. Finita, per fortuna, l'epoca nella quale i titoli di debito pubblico rendevano interessi a due cifre, terminata la bolla speculativa della Borsa che consentiva rendimenti di quasi il 15%, il risparmiatore, in questi due ultimi anni, ha preso soltanto grandi dispiaceri e ha visto erodere, anche in maniera significativa, il patrimonio accumulato negli anni. Sembrava che le obbligazioni emesse dalle imprese, potessero costituire una fonte di investimento del proprio risparmio alternativo a condizioni più soddisfacenti. Poi gli scandali americani e "l'affaire" Cirio hanno reso tutti sospettosi così da fare di tutta l'erba un fascio. Se si vuole evitare che i comportamenti siano governati da isterismi, anzichè da razionalità, è necessario che il risparmiatore venga tutelato al massimo. Le autorità di vigilanza dovranno tirar fuori il cartellino rosso e mostrarlo a chi opera con superficialità e leggerezza. Il momento è quello che è; non si devono dare aspettative di guadagni fuori da ogni logica di mercato. Per il futuro le aspettative di remunerazione, credo, non potranno superare il 6%. L'abbassamento del tasso ufficiale deve indurre la gente ad operare e ad investire: va colta l'opportunità, indipendentemente da fattori esterni e da processi economici. Deve ritornare la fiducia che è l'asse portante virtuale che stimola l'economia. I segnali di risveglio si intravedono sia negli Usa che in Cina. In Italia alcune grandi aziende sono in crisi, ma nel nostro paese la piccola/media impresa rappresenta la caratteristica peculiare della nostra economia. Questo tipo di azienda reagisce con maggiore flessibilità agli eventi ed è in grado, di conseguenz

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