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Feltri: quella sindaca “artificiale” meglio del disastro di Sala e Gualtieri

Vittorio Feltri
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L’intelligenza artificiale ci seppellirà tutti, anzi ci trasformerà in deficienti universali. L’ho intuito tempo fa di fronte ai primi elaborati dei sistemi informatici (perfetti! a tratti commoventi), ma ne ho avuto conferma solo di recente leggendo questa storia che arriva da Taranto dove le ombre dell’Ilva si inerpicano sulle facciate di antiche case e i racconti di mare si mescolano all’acciaio degli altiforni. Dovete sapere che nei vicoli stretti che si allungano obliqui alle spalle del porto, come nella piazza grande su cui scodinzolano i cani randagi all’ora dello struscio, c’è gran voglia di rivalsa. Tutti gli anni è la stessa storia. Si affaccia al balcone un politico bolso che promette tabula rasa dell’inquinamento, dei pastrocchi, della criminalità organizzata e della burocrazia canaglia. Ma poi si torna sempre daccapo. Le promesse cadono, i cartelli sbiadiscono e il refrain della città piegata dalle sue sfighe ritorna puntuale. Quest’anno però il pissipissi si è fatto più insistente e da un consesso di menti illuminate e reattive è nata lei: Anna Luce D’Amico. Il primo candidato sindaco donna prodotto dall’intelligenza artificiale.

Non ha nessuna possibilità di correre. Ma avrebbe molte chance di vincere se qualcuno le desse l’occasione. È castana, porta i capelli legati sulla nuca alla maniera di certe signore del sud restie agli artifizi e ai ritocchi di stagione. Ha il guizzo negli occhi e un’espressione di chi ne ha viste tante. Fili intricati, elaborazioni sofisticate e un’iperbole matematica le scorrono nelle vene. Cazzuta. Tostissima. È intenzionata a sparigliare la concorrenza con un programma di ragione e libertà che farebbe ingolosire Voltaire. Agisce in nome della trasparenza e della legalità, è intrisa di attenzione all’ambiente, sostenibilità, equità sociale senza essere prostrata all’ideologia woke. Si professa persino slegata dai partiti, dalle lobby e dalle vecchie logiche di potere. E cosa che adoro, odia i legulei che si scannano tra loro e se ne fottono bellamente dei cittadini che reclamano soluzioni e non sanno arrivare a fine mese. Non si incazza, non può essere tirata per la giacchetta (banalmente non ce l’ha), non può essere neppure indagata. Quanto alla burocrazia, potete immaginarlo, si districa nei cavilli delle amministrazioni e nelle trappole cervellotiche dello spid con un battito di ciglio. Volendo, potrebbe decidere tutto senza neppure convocare il consiglio comunale. Esilarante. E vi dico di più.

Se non avessi visto i sindaci di mezza Italia assiepati sul palco di Roma sabato scorso a vaneggiare di Europa e qualunquismi vari, anziché dei problemi delle loro città, non starei qui a disquisire di Anna Luce. Ma quel palco mi ha dato la conferma che i sindaci veri si sono estinti come i dinosauri o forse dispersi da quel tempo immemore in cui Guareschi cercò di renderli più affabili con le tribolate ed esplosive peripezie di don Camillo e Peppone. Lo so, non è da me osannare i dettami della tecnologia. Ma in questo anticipo di primavera che vede scannarsi l’umanità davanti alle uscite di Trump e dell’esuberante Musk ormai vissuto come un tiranno dello spazio intento a manovrare i destini del mondo, mi sono fatto prendere la mano dalla fascinazione. Una distanza siderale d’altronde separa i nostri governanti dall’idea nobile di sindaco, inteso come colui che raccoglie le istanze della sua città e cerca di rispondere o quantomeno analizzare i problemi. Pensate ai nostri Sala e ai vostri Gualtieri. Il primo predica in radio e sui social con quel tono da maestrino che infastidisce non poco l’elettore medio e la leader incontrastata dell’armocromia. Discetta di diritti e doveri del Pd, di manovre al centro, di fascismi inesistenti e federatori del piffero e poi ignora le buche in strada, le scorribande delle baby gang, la città che crolla sotto i colpi delle inchieste dell’urbanistica. Non solo: salva il centro sociale Leoncavallo che ha il record di abusivismo e illegalità. Ma abbandona il Salva-Milano che potrebbe sbloccare decine di cantieri paralizzati e dare ossigeno alle 1600 famiglie che avevano comprato casa e sono rimaste con un pugno di mosche in mano. Di Gualtieri, invece, ne sapete e ne subite voi più di me. Me lo dipingono seduto sulle panchine di Roma a strimpellare con la chitarra come un cantautorino qualunque, talmente prodigo e attento alle spese dei romani da avere messo in conto al Campidoglio la manifestazione di piazza dedicata all’Europa, 270mila euro, una follia pensare che una sfilata di sinistra debba essere a carico del contribuente.

Non ho mai visto dei governatori tanto deludenti come loro. Incapaci di entrare in empatia col loro elettorato e di calarsi nello spirito della res pubblica. Forse un sindaco virtuale prodotto dall’Intelligenza artificiale potrebbe mettere fine allo strazio. Lo so, vi pare strano. Ma io che sono vetusto quanto una quercia e ho abbandonato la macchina per scrivere in anni recenti, mi sono convinto che i robot avrebbero i numeri e le credenziali per rubarci la scena e poi il posto. Qualcosa di simile è già successo nell’arte dove blasonati artisti hanno appeso il pennello al chiodo e si prostrano davanti ai quadri creati dai computer. Ricordo un quadro battuto alla casa d’aste britannica Christie’s. Ritraeva un gentiluomo francese (tale Edmond Belamy) vestito in perfetto stile puritano, il volto appena accennato, il colletto inamidato sotto uno sguardo nero come la pece. Sembrava una creazione rinascimentale invece veniva da un mondo parallelo. Nulla di preoccupante pensai. Ma era la prova concreta che siamo vecchi, inariditi e ormai superati. Artisti, musicisti forse anche sindaci. Ecco, di questi ultimi c’è un gran bisogno vista la penuria di candidati. Lasciamoci dunque tentare dall’intelligenza artificiale e mettiamoci il cuore in pace. Quanto ai giornalisti, lo sapete, presto i robot ci leveranno il posto e la tastiera. Io sarò solo felice di leggere un Feltri virtuale e potermi pensionare. E prometto non gli romperò le balle.

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