
El Gomati, la strana storia del libico che sussurra alla sinistra per attaccare il governo

Si chiama Abdul Ghani al-Kikli il nuovo caso diplomatico che scuote le anime della sinistra. Il capo della milizia libica Stability Support Apparatus sarebbe accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale (Cpi), e si trova a Roma. Secondo Amnesty International, la milizia, guidata da Al Kikli, è stata creata dal governo della Libia nel gennaio 2021 ed è responsabile di uccisioni illegali, detenzioni arbitrarie di cittadini libici, intercettamenti e successive detenzioni arbitrarie di migranti e rifugiati, torture, lavori forzati e altri gravissimi crimini di diritto internazionale. «Ho appreso che potrebbe essere in Italia un altro torturatore libico che è accusato dall’Onu di gravi e ripetute violazioni e dal Dipartimento americano di crimini contro l'umanità. Vogliamo chiarezza dal governo sul perché sta rendendo questo Paese un porto sicuro per le milizie libiche che spesso sono anche mafie libiche», tuona la leader del Pd, Elly Schlein. Ad andarle dietro il segretario di +Europa Riccardo Magi che segue la moda del «Meloni deve venire al più presto a riferire in aula ed eviti di mettergli a disposizione aerei di stato per tornare tra gli onori in patria come ha fatto per Almasri» e da Angelo Bonelli, deputato Avs, secondo cui «l'Italia, grazie al governo Meloni, è diventata la Montecarlo dei trafficanti di esseri umani, torturatori e stupratori».

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Al di là della bramosia di qualcuno di vedere il Presidente del Consiglio, è lecito chiedersi chi c’è dietro la sollevazione del caso. Un caso non trapelato da fonti ufficiali, bensì dal profilo X del dissidente libico Husam El Gomati: ha pubblicato una foto che ritrae Al-Kikli, insieme ad altre persone, intorno a un letto d’ospedale dove è ricoverato il ministro libico degli Affari Interni, Adel Jumaa Amer. El Gomati ha poi scritto su X che il miliziano «è accusato di tortura, sparizioni forzate e uccisioni e sarebbe nella lista dei ricercati della Cpi, secondo alcune fonti». Al-Kikli sarebbe atterrato a Fiumicino intorno alle 18 del 20 marzo, accompagnato da una delegazione libica di alto livello, che poi compare nella foto pubblicata dal dissidente libico. Descritto da alcuni come colui che vuole salvare la Libia dalle atrocità di certi individui e come un angelico attivista, sorge spontaneo chiedersi come mai sia la stessa persona che aveva postato la foto del generale Almasri al suo rientro a Tripoli nel bagno di folla con alle spalle il Falcon 900 con bandiera tricolore. Sì, proprio quella foto che aveva fatto discutere. Ma chi è davvero? E come fa ad avere informazioni così riservate?

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C’è chi dice che il dente avvelenato con l’Italia lui lo abbia a causa del caso Paragon, essendo lui uno dei bersagli del software militare di origine israeliana. Eppure, cronologicamente, le notizie da lui rivelate su Almasri sono antecedenti al caso Paragon. Parliamo della stessa persona che avrebbe diffuso documenti che riguardano il nostro Paese, pubblicando nel suo canale Telegram notizie dei rapporti tra la milizia che controlla i porti libici capitanata da Almasri e i servizi segreti italiani, impegnati a contrastare l'immigrazione clandestina, arrivando a mostrare il passaporto del direttore dell’Aise Giovanni Caravelli. Ma le informazioni di cui parliamo sono classificate come altamente riservate: è per questo che fonti libiche riferiscono che dietro di lui potrebbero esserci servizi segreti di un altro Paese, che agirebbero in concerto con lui nel tentativo di mettere in atto ritorsioni contro di noi. È solo per le sue denunce contro il governo che l’attivista ora è in Svezia e non può far ritorno nella sua terra? Si tratta comunque dell’ex portavoce del ministro della Difesa libica dal 2012 al 2013, non certo un cittadino qualunque. Sembrerebbe, infatti, che tra gli accordi poco graditi a Turchia (in uno stato di profonda crisi interna) e Qatar ci siano quelli che il governo ha stretto con Arabia Saudita ed Emirati Arabi: ciò rifletterebbe un conflitto interno ai paesi mediorientali stessi che non accetterebbero la supremazia diplomatica ed economica di un loro diretto concorrente. Un quadro che ci delinea come l’Italia dovrebbe essere unita e compatta davanti a una minaccia che non riguarda un partito politico ma un’intera nazione.

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