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Frozan Nawabi: "L'obiettivo dei talebani è limitare il ruolo delle donne nella società"

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Giulia Sorrentino
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A Kabul sono state introdotte nuove norme contro le donne: un inasprimento di una situazione già drammatica dal punto di vista dei diritti e della libertà individuale. Un decreto della guida suprema dei talebani, Hibatullah Akhundzada, determina i nuovi criteri costruttivi nei centri abitati del Paese. Non potranno quindi più essere costruite finestre che si affacciano su cortili, cucine, fontane o altri luoghi frequentati abitualmente dalle donne. Abbiamo chiesto in esclusiva a Frozan Nawabi, oggi avvocato per i diritti umani ed ex diplomatica, di spiegarci in che condizioni versano le donne nel suo Paese di origine e il quadro che emerge è preoccupante anche alla luce della detenzione di Cecilia Sala. In merito alla giornalista, l’Italia ha consegnato ieri mattina una nota verbale all’Iran in cui «chiede nuovamente il rilascio immediato» e «garanzie totali sulle condizioni di detenzione di Cecilia Sala», secondo quanto si apprende da fonti della Farnesina. Nota verbale del ministero degli Esteri italiano consegnata al governo iraniano tramite l’ambasciatrice a Teheran Paola Amadei. Un’iniziativa che rientra nel lavoro che il ministro degli Esteri Antonio Tajani sta conducendo insieme al presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, per una rapida risoluzione della vicenda.

Forzan, lei è una rifugiata politica in Italia. Cosa fa ora nel nostro Paese?
«Io sono ex Direttore generale per i diritti umani e gli affari internazionali delle donne al Ministero degli affari esteri dell'Afghanistan. Ora sono un avvocato per i diritti umani delle donne afghane in Italia e in Afghanistan, dei bambini oltre a essere un funzionario pubblico da più di 25 anni».

Ora potrebbe tornare nel suo paese, l’Afghanistan? Ha paura?
«Non posso tornare lì a causa delle continue minacce alla mia sicurezza. Vivo nella costante paura di cosa potrebbe accadere se tornassi indietro. Qui in Italia, mi concentro sulla costruzione di una nuova vitae sul contributo alla società».

 



 

Perché ha paura? Che rischi correrebbe?
«Come sostenitore dei diritti umani in Afghanistan, la paura spesso nasce dalle minacce di violenza, molestie o incarcerazione da parte dei talebani contrari al cambiamento sociale. Gli attivisti affrontano rischi significativi, tra cui danni fisici, rapimenti e aggressioni per aver denunciato le violazioni dei diritti umani. Inoltre, c’è una costante paura della repressione, della perdita della libertà personale e dell’impatto sulla famiglia e sulla comunità. L’attuale clima politico può rendere pericolosa l’attività di advocacy, poiché i diritti delle donne e dei gruppi emarginati sono particolarmente vulnerabili».

Cosa fanno lì in Afghanistan alle donne che non sottostanno a certi dettami?
«Una donna che disobbedisce agli ordini di fatto può affrontare gravi conseguenze come multe, reclusione o sanzioni anche più severe basate sulle usanze locali e sulle interpretazioni della legge della Sharia. Inoltre, la reazione sociale, lo stigma e la potenziale violenza sono rischi significativi che si possono incontrare».

Recentemente a Kabul sono state approvate nuove norme contro le donne: non si potranno più costruire finestre che si affaccino su cortili, cucine, fontane o altri luoghi abitualmente frequentati dalle donne. La motivazione del governo è che “vederli all'opera in cucina, nei cortili, o mentre bevono l'acqua della fontana, può comportare la commissione di atti osceni”.
«La recente sentenza di Kabul riflette una tendenza preoccupante verso maggiori restrizioni alla visibilità e all'autonomia delle donne negli spazi pubblici e privati. Vietando le finestre che si affacciano sulle aree in cui solitamente si riuniscono le donne, di fatto si sta rafforzando una cultura di sorveglianza e controllo, guidata dalla convinzione errata che la presenza delle donne in questi spazi sia intrinsecamente provocatoria. Questa politica non solo mina i diritti e le libertà delle donne, ma perpetua anche stereotipi dannosi sul genere e sulla moralità. Tali misure possono portare a un ulteriore isolamento e oppressione delle donne, limitando la loro partecipazione alla società e rafforzando l’idea che debbano essere nascoste o protette dalla vista».

 



 

Come vivono le donne in Afghanistan ora?
«Le donne in Afghanistan attualmente si trovano ad affrontare gravi restrizioni ai loro diritti, compreso un accesso limitato all’istruzione, al lavoro e alla vita pubblica, rendendo la loro esistenza quotidiana molto difficile. Crediamo che ogni donna debba avere accesso a pari opportunità, tra cui istruzione, assistenza sanitaria, occupazione e partecipazione ai processi decisionali. Sfortunatamente, assistiamo ancora a numerose sfide e barriere che ostacolano il progresso delle donne afghane».

I Talebani vogliono cancellare le donne dalla società? È questo il loro obiettivo?
«Sì, le politiche dei talebani mirano a limitare il ruolo delle donne nella società, cercando di fatto di cancellare la loro visibilità e partecipazione in molti aspetti della vita».

L’Italia come si posiziona rispetto a questo panorama?
«È pienamente consapevole della situazione in Afghanistan e c’è un forte senso di empatia e sostegno nei confronti dei rifugiati, cosa che aiuta a promuovere un ambiente accogliente».

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