il colloquio
Chico Forti: “In Italia il primo Natale sereno. E spero di rivedere mia madre”
«Essere in Italia mi rende più sereno. Ho tanti sogni, ma uno su tutti: quello di poter riabbracciare mia madre e magari di poterci passare del tempo. Sarebbe magnifico festeggiare la prossima Pasqua o il prossimo Natale insieme a lei». Chico Forti, l’ex velista accusato di aver ucciso un uomo in circostanze, ancora oggi, tutt’altro che evidenti e trasferito dal carcere di Miami in Italia grazie al prezioso lavoro di diplomazia portato avanti dal nostro governo lo scorso 18 maggio, ha incontrato ieri il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Di Giuseppe. Una conversazione durata circa venti minuti, durante la quale il nativo di Trento ha raccontato la propria quotidianità. «È il primo Natale che passo in Italia, dopo oltre venti anni trascorsi in carceri americane. Il mio pensiero costante va a mia madre, che ha 96 anni. Sogno di rivederla e di poter avere accesso, il prossimo anno, ai benefici di legge. In carcere, a Montorio, ho cercato di essere sempre disponibile, sin dal primo momento. Cerco di dare una mano sia sullo studio che sul fitness».
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Forti è attualmente detenuto a pochi chilometri da Verona, un carcere modello, di gran lunga diverso dagli istituti di pena statunitensi, all’interno dei quali il concetto di rieducazione è molto diverso dal nostro. Andrea Di Giuseppe è stata una delle persone più attive, fattivamente, nel rendere il caso di Chico Forti una vicenda mediaticamente importante. Un impegno costante, finalizzato ad evidenziare un processo che, pur nel doveroso rispetto per le sentenze, lascia molte ombre sulla colpevolezza di Chico. «Il fatto che persino la famiglia della vittima continui a sostenere come non sia stato il nostro connazionale ad assassinare Dale Pike dovrebbe imporre a tutti un attimo di riflessione. Mi permetta però di fare un appunto, proprio in questi giorni di festa: un certo genere se si può chiamare umano è davvero crudele, senza scrupoli. Basti pensare a certi partiti di sinistra che, pur di attaccare Giorgia Meloni, non essendone in grado, continuano a prendersela con Chico, che è diventato, suo malgrado, un mezzo per un attacco politico che è semplicemente folle nei metodi e nei contenuti, specialmente quando poi viene da un partito che ha fatto eleggere una persona che di lavoro occupa case e da martellate. Sono davvero felice, al contrario, che certe accuse su presunte minacce siano cadute definitivamente. Il prossimo anno mi auguro che vi possa essere il ricorso a certi permessi, previsti dalla legge per tutti, tengo a precisarlo, visto che una certa stampa di sinistra vuol dipingere Chico Forti come una sorta di privilegiato. Vorrei ricordare a queste persone che, in Italia, nemmeno Giovanni Brusca, nemmeno chi ha cioè sciolto nell'acido un bambino (il piccolo Giuseppe Di Matteo) ha trascorso 25 anni in carcere».
Di Giuseppe pone l’attenzione su due riferimenti che necessitano di altrettanti approfondimenti. Quando ha parlato delle accuse cadute nei confronti di Chico Forti, l’esponente di Fdi si riferisce al fascicolo aperto dalla Procura di Verona. Secondo la tesi accusatoria, Forti avrebbe chiesto ad un esponente della criminalità organizzata, anch'esso detenuto a Montorio, di «mettere a tacere» Marco Travaglio, Selvaggia Lucarelli e Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria. Forti avrebbe promesso di contraccambiare dell'aiuto quando sarebbe stato liberato e «candidato con il centrodestra». Un caso che si è sgonfiato pochi giorni fa, quando la stessa Procura veneta ha chiesto l’archiviazione del procedimento. Di tutt’altro avviso Avs, che la scorsa settimana ha organizzato addirittura una conferenza stampa, per chiedere che non calasse il silenzio sul caso delle minacce perché, secondo il deputato Denis Dori «evidentemente anche un solo sospetto c’è». Una valutazione fortemente contestata da senatore di FdI, Giulio Terzi, che si è seduto tra i giornalisti e ha ben presto preso la parola: «Siamo dinanzi all’ennesimo caso di tentativo speculativo e di completa mancanza di rispetto».