Siria nel caos, l'analisi di Ruvinetti: “Non fidiamoci di Al Qaeda”
«La caduta di Assad è un cambiamento epocale dopo 50 anni di governo della famiglia Assad. Riscriverà le influenze e la geopolitica di tutto il Medio Oriente perché la Siria è un paese fondamentale per l’Iran da cui passavano le armi per Hezbollah. É una fortissima sconfitta dell’Iran che dopo l’indebolimento e quasi l’annientamento di Hamas e il forte ridimensionamento di Hezbollah, vede anche la caduta della Siria che va in mano sunnita. Ma è anche una sconfitta della Russia che forse dovrebbe mantenere le basi sul terreno. Sembra ci sia stato un accordo su questo e vediamo se tiene», così Daniele Ruvinetti, senior advisor della Fondazione Med-or.
I ribelli sono ex appartenenti ad al Qaeda. La Siria rischia di diventare un nuovo Afghanistan?
«Il punto sarà capire quale sarà il futuro della Siria perché un conto è unirsi per abbattere il regime e un altro è governare un paese. Questa sarà la prova a cui sono chiamati questi gruppi ribelli, che sono tanti. La Siria è composta da tante etnie: al 70% ci sono i sunniti, poi drusi e alawiti (che sono quelli a cui faceva riferimento Assad che sono circa il 15%), cristiani e curdi. Sono già iniziati gli scontri tra la fazione di ribelli più vicina alle milizie filo-turche e i curdi. Al-Jolani si sta proponendo come capo di Stato, come colui che cerca di unire il paese e bisogna vedere se riuscirà a contenere tutte queste forze di cui gran parte prima facevano riferimento a al Qaeda e Isis. Non sarà semplice e c’è il rischio che diventi un nuovo Afghanistan o una nuova Libia».
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L’Unione Europea ha fatto sapere di non avere ancora contatti con HTS, che sarebbe già nella black-list, e alcuni suoi leader sanzionati.
«Per l’Ue si pone un problema perché è chiaro che è stato abbattuto un regime dittatoriale, ma ricordiamo che il padre di Assad è stato interlocutore a lungo per gli Stati Uniti è anche per l’Italia (Andreotti aveva rapporti con il padre di Assad). Ora si pone il problema con il figlio. L’Italia aveva da poco riaperto l’ambasciata a Damasco e bisognerà aprire un dialogo con i nuovi padroni della Siria e in particolare con al-Jolani o con il nuovo Primo Ministro scelto da lui. Cercare di aprire un canale di comunicazione non sarà semplice. È nell’interesse di al-Jolani avere più contatti possibili e farsi vedere credibile agli occhi della comunità internazionale. Potenze regionali, come Arabia Saudita o Emirati Arabi, potranno fungere anche da canale di comunicazione. La nuova Siria è un punto interrogativo per l’Europa e per tutto il mondo».
Tra gli attori che hanno agito in Siria c’è la Turchia. Quale sarà la prossima mossa di Erdogan?
«Erdogan ha giocato un ruolo fondamentale dall’inizio armando militarmente parte delle milizie. Il vero scopo era quello di mandare al potere la componente sunnita, obiettivo che è stato raggiunto. Ma sosteneva e armava questi gruppi anche in chiave anti curda. Ora si porrà il tema anche con i curdi che invece sono sempre stati supportati dagli Usa. C’è il rischio che vengano isolati o inizi, come già sta accadendo in queste ore, uno scontro tra parte di questi ribelli e i curdi. Erdogan non voleva l’entrata così veloce di al-Jolani, ma aspettare per cercare di trovare un accordo più ampio con la Russia di Putin e l’Iran. Ma al-Jolani, avendo visto probabilmente che la strada era libera e che non c’era resistenza, ha anticipato l’entrata a Damasco. Questo ha irritato Ankara che ora si trova con una grande vittoria, una presenza importante in Siria che prima non avevano, ma con il problema di dover gestire anche loro questi gruppi. Sarà anche interessante capire se riusciranno».
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A gennaio si insedierà Donald Trump, cosa cambierà per il Medio Oriente? O qualcosa è già cambiato?
«L’arrivo di Trump ha già provocato effetti prima del suo insediamento. L’Iran aveva annunciato prima delle elezioni Usa una risposta all’ultimo attacco israeliano che non c’è stato, proprio perché aspettano l’approccio di Trump quando arriverà alla Casa Bianca. Sanno benissimo che non è amico degli iraniani, anzi è un grande sostenitore di Netanyahu e questo ha portato l’Iran a più miti consigli. Forse il Medio Oriente non sarà una priorità dell’agenda Trump in politica estera e lo ha detto. Come ha detto che in Siria non vuole entrare. Quindi in quel quadrante potrebbe lasciare mano libera a Israele, che farà anche gli interessi degli Usa e coltiverà i rapporti con l’Arabia Saudita anche in chiave di accordo sul petrolio. Quindi non mi aspetto un grande interesse di Trump, però il suo arrivo ha galvanizzato Netanyahu perché sa di avere uno sponsor molto forte e un Iran sempre più indebolito perché sta perdendo l’influenza in Medio Oriente che si era costruito in tanti anni».
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