chi ha chiesto la condanna

Vaticano, se il Papa non dà la grazia ci pensano i cardinali: il piano per riabilitare Becciu

Luigi Bisignani

Croce o grazia? Chissà se, tra cent’anni, leggendo le carte senza omissis del processo contro il cardinale Angelo Becciu, gli storici arriveranno a pensare che Bergoglio, più che Francesco - in onore del poverello d’Assisi - avrebbe fatto meglio a scegliersi il nome di Innocenzo o Gregorio, i pontefici del periodo buio dell’Inquisizione. È questa la conclusione amara suggerita dall’intrigante libro di Mario Nanni, Il Caso Becciu. (In)Giustizia in Vaticano. Dizionario delle omissioni, anomalie, mistificazioni, misteri e veleni. Un titolo che suona come il manuale di ogni thriller vaticano. Già dalle motivazioni della sentenza ci si rende conto di essere di fronte ad una montatura talmente inverosimile che un giurista autorevole membro del collegio cardinalizio ha definito, con un’invidiabile capacità di sintesi, «un processo per stupro senza alcun atto sessuale, oppure un processo per rapina senza che sia stato portato via neppure un capello». Un’affermazione che si lega al mea culpa di un porporato confidata a Becciu e riportata nel libro: «Noi cardinali dovremmo chiederti perdono per il nostro peccato di omertà nei tuoi confronti». Parole di conforto che Becciu terrà care, sa che la sua via crucis non è finita ancora. Dentro le mura leonine la questione è ancora sulla bocca di tutti e c’è anche una clamorosa indiscrezione che Il Tempo è in grado di svelare. In Vaticano si sussurra che la condanna di Becciu sia stata addirittura suggerita dal Papa, con la promessa di una futura grazia divina. Promessa che, però, Francesco ora non sembra più voler mantenere visto che la grazia tarda ad arrivare. Per questo si starebbe organizzando - il più tardi possibile e sperando che Becciu sia ancora in vita - un coup de théâtre durante la Sede Vacante.

 

 

Com’è noto, prima dell’inizio del pontificato di un nuovo Papa, il governo della Chiesa passa nelle mani del collegio cardinalizio, che durante le quotidiane «congregazioni generali» assume piena giurisdizione su tutta la comunità ecclesiale. Canonisti anonimi, ma esperti, avrebbero già preparato il primo atto della futura Congregazione Generale: la «restitutio in integrum » dell’onorabilità, dei diritti e del ruolo del cardinale Becciu. A scanso di equivoci, i cardinali interpellati, quasi tutti concordi, pare stiano già firmando la bozza del decreto. Del resto, agli occhi di Bergoglio, l’unico vero grande peccato di Becciu sembra essere stata la moral suasion per candidare a prossimo Pontefice, un cardinale focolarino, tra il francese Philippe Barbarin, il tedesco Rainer Woelki o l’arcivescovo di Parigi Michel Aupetit. Una scelta a scapito dei bergogliani di ferro, come il filippino Luis Tagle, il «cardinale elettricista» Konrad Krajewski o, il capo dei vescovi Matteo Zuppi, protettore della comunità di Sant’Egidio. Sarebbe questo il reale motivo di un processo improbabile che ha messo alla berlina il Vaticano e durante il quale le regole sono state riscritte per ben quattro volte. Un processo iniziato con un articolo de L’Espresso sull’acquisto di un immobile a Londra e culminato nel drammatico incontro de visu tra Bergoglio e Becciu. Secondo la minuziosa ricostruzione di Nanni, pare che Francesco, con la tranquilla freddezza di un monarca assoluto, gli abbia detto: «Lei è sotto indagine, io non l’accuso né per il palazzo di Sloane Avenue né per i fondi usati per liberare la suora colombiana. Ma l’accuso per i soldi dati ai suoi fratelli». Becciu, incredulo, telefonò subito ai familiari, al vescovo e al presidente della Caritas, ricevendo sempre la stessa risposta: «I fondi sono ancora sul conto». Così come inesistente è risultato l’utilizzo dei fondi dell’obolo di San Pietro per l’investimento immobiliare londinese.

 

 

Sarebbe bastato questo per chiudere un processo che, più che un dibattimento, è apparso come una pièce pirandelliana, con personaggi come il fragile e pavido monsignor Perlasca - ex capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato al tempo di Becciu - manovrato da due figure femminili enigmatiche una delle quali si propone a lui come un anziano magistrato italiano in pensione anziché con la sua vera identità, mentre l’altra faceva da tramite per non far scoprire l’imbroglio. L’autore avvisa il lettore che, a tratti, questa vicenda somiglia ad un intricato giallo «fuori chiave». Emblematico l’episodio in cui le due donne organizzano una cena per incastrare Becciu, nascondendo microfoni spia sotto il tavolo mentre Perlasca, loro complice, tremava al pensiero che il porporato, alzandosi per un bisogno urgente, potesse scoprire tutto. Un processo farsa che ha finito per danneggiare la credibilità internazionale della Santa Sede, tanto da essere stata esclusa dal circuito Egmont. Vale su tutto l’esegesi dell’avvocato di Becciu, Maria Concetta Marzo, che battendosi come una leonessa, insieme al collega Fabio Viglione, ha così tristemente commentato a Nanni le motivazioni del processo: «Dei numerosissimi argomenti difensivi non c’è traccia nella motivazione. Attendevamo risposte che non sono arrivate. Senza parlare poi della marginalizzazione del tema dei famosi "omissis". Come irrilevante è stata ritenuta la macchinazione ai danni del Cardinale che il processo ha fatto emergere (...)». Chissà, forse la verità giace proprio tra quegli "omissis". Auguriamo a Becciu, che lo sguardo benevolo del suo angelo custode lo vegli e non si distragga come la giustizia vaticana. Chiosa Nanni, riportando le parole di un noto giurista e primo volto di RaiUno, don Filippo Di Giacomo: «La giustizia vaticana ha preso un’altra strada dal momento che il Papa ha imposto la supremazia dei giudici su qualunque organo di governo ecclesiale, "dimenticando" diverse pagine del Concilio, comprese quelle sul ministero e il collegio episcopale». Fiat voluntas Dei.