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Vittorio Feltri, l'elogio a Mario Giordano che aiuta i proprietari a riprendersi le case occupate

Vittorio Feltri
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 Ero direttore del Giornale e una mattina si presenta in redazione un giovane di nome Mario Giordano. Ha una voce insopportabile e una frangetta da chierichetto. Non ho nessuna voglia di dargli udienza ma mi mette alle strette e lo faccio accomodare. Mi dice che vuole fare il giornalista, sai che novità, e la favella non gli difetta. È alessandrino di nascita, operoso come la gente della sua terra... dopo la laurea in scienze politiche ha lavorato in un settimanale cattolico di Torino e all’Informazione di Roma.

 

Sfiga vuole che la testata abbia chiuso i battenti nel giro di un anno, lasciandolo disoccupato con una moglie e due figli (ora sono 4). La faccia si fa così contrita e attonita che lo metto subito alla prova e gli commissiono un pezzo sul prossimo presidente di Confindustria. Non lo conosce, si capisce dallo sguardo. Tuttavia si congeda con beatitudine cristiana e dopo tre giorni torna alla mia porta stringendo l’elaborato tra le mani. Un capolavoro. Perfetto. Efficace. Potente. Assumete quel giovane!, urlo così forte all’ufficio del personale che in redazione balzano sulla sedia. Era il 1996.

Mi permetto di raccontarvi l’aneddoto perché mi appartiene e gli appartiene. Ed è il mio personalissimo omaggio a un giornalista, per l’appunto Giordano, cui farei un monumento per aver scoperchiato con la trasmissione «Fuori dal coro» (che conduce brillantemente dal 2018) la piaga delle occupazioni abusive. No, non è piaggeria, ma semplice riconoscenza.

 

Le sue inchieste hanno liberato centinaia di case dai criminali che le rubano ai legittimi proprietari pensando di fottere la povera gente e di farla franca con la giustizia. E a lui e al governo Meloni si deve la legge contro l’abusivismo contenuta nel nuovo ddl sicurezza e ispirata a un principio fondamentale: chi risulta legittimo proprietario di una casa deve poterne venire in possesso in qualunque momento, a meno che nella casa non ci sia un inquilino con regolare contratto d’affitto e tutte le rette pagate. Sacrosanto.

Al punto che per gli occupanti senza diritto è prevista adesso una pena fino a 7 anni di carcere. Prima però tutti berciavano e nessuno muoveva palla, soprattutto nei giornali. Giordano invece ha sfrucugliato gli angoli bui e opachi delle periferie. E scoperto gli abusivi della peggior specie. Trecento storie di ingiustizie e illegalità plateali snocciolate in trasmissione, 185 casi risolti.

Andare-bussare-citofonare come l’ultimo dei cronisti o il primo dei giornalisti di inchiesta. «Scusi lei è abusivo, lo sa che deve 27mila euro al padrone di questa abitazione?» E il padrone a volte era la vecchietta con una pensione da fame e l’ansia di non poter crepare nel salotto di casa sua.

Altre volte un poveretto che pagava un mutuo da favola e dormiva in garage perché la casa gliel’aveva strappata di mano il truffatore di turno «mi fa venire voglia di sbattere la testa contro il muro», la reazione «pacata» di Giordano. Sfilze di porte in faccia e insulti ai suoi inviati sul campo (prima o poi li vedremo con l’elmetto in testa come in trincea), ma uno dopo l’altro hanno acceso i riflettori su uno scandalo che è dilagato in tutte le città d’Italia arrivando a coinvolgere immigrati, rom, manager agiati e italianissimi, persino una facoltosa investment banking director, con casa vista duomo e convalide di sfratto sparse sul tavolo. Incredibile come nella faccia più angelica del giornalismo italiano si celi questa vocazione al rompimento di palle e allo sputtanamento delle ipocrisie che ha fatto di lui un maestro dell’informazione.

Quasi «un predestinato» già nei nomi che metteva alle sue trasmissioni o lo folgoravano sulla via di Damasco: il Grillo parlante nel programma di Gad Lerner Pinocchio (molto più grillo di quello originale e anche più divertente); il Lucignolo che raccontava le notti buie e allucinate dei ragazzi e non aveva nulla del fannullone scanzonato della favola. È stato persino L’Alieno aun certo punto della carriera, forse perché era davvero diverso e controcorrente quel suo indagare nei meandri della politica pomposa e arraffona.

Quando poi sedeva nel salotto di Maurizio Costanzo giacca marrone, camicia azzurra, viso glabro e cravatta rossa a righine bianche, il solito timbro di voce che ti entra nelle viscere e le pervade - sembrava un Harry Potter dell’informazione. Gad, Maurizio e lui, sorridente e argutissimo, che sbugiardava i potenti e chiamava diligentemente «superiori» i direttori di giornali. Diligente o forse paraculo, chissà. Trovo prodigioso quel suo modo di fare irruzione negli studi Mediaset, divenuto un marchio di fabbrica, al grido acutissimo di battaglia «Donatooooooooo non sai cosa hanno inventato? La gente muore di fame e loro inventano il bonus monopattino». Parole sante ma levarle al cielo a 20 all’ora, in monopattino e roteando sul pavimento lucido di uno studio Mediaset, sa di godimento e liberazione (e preciso che Donato Pisani è il regista della trasmissione).

Grida, spacca, sbraita. Fa quello che farebbe l’uomo medio italiano se ogni tanto gli venisse data libertà e facoltà. Sarà per questa ragione che gli ascolti si impennano ogni volta. Anche da direttore di Studio Aperto contava 2,5 milioni di spettatori ed era solo il pranzo di mezzodì. «Io Halloween non lo voglio festeggiare» - strepita a ridosso della festa più scema dell’anno e prende a mazzate una decina di zucche decorate. Un giorno volano bidoni sulla scena perché la trasmissione ha scovato il falso avvocato che s’era intascato (si fa per dire) l’appartamento di un povero tassista che aveva perso tutto con il covid. Un altro grida al prete anti-Salvini che chiudeva la chiesa contro l’allora decreto sicurezza: «La messa la messa! un prete deve fare il prete». Più anti-abusivi lui di mille poliziotti. Ha provato a fregarlo l’intelligenza artificiale, un video in cui il computer simulava la sua faccia e il suo guizzo e gli faceva dire «viva gli abusivi», ma nessuno c’è cascato.

Manca solo di vederlo entrare con i celerini in un’abitazione occupata. O nel centro sociale Leoncavallo che Milano si coccola da decenni e per cui il Viminale dovrà pagare 3 milioni di euro di risarcimento alla proprietà. Mandate Giordano e vedrete. Il punto non sono sole le case. Ma smascherare la fregatura dietro l’angolo. Anche quella blasonata. Sei milioni di euro per la banana incerottata e annerita di Cattelan? «Ce l’ho anch’io la banana!» ha urlato Giordano. «Volete il cerotto? Taaaaaac. Vale sei milioni adesso? Qui ci fregano i soldi». Eppure certa stampa salottiera gli rimprovera le arringhe populiste e accalorate. Sul Corrierone lo chiamano l’unico stand up comedian della tv italiana. E una risma di intellettuali da strapazzo le ha coniate tutte per inquadrare la sua verve: funarismo di ritorno, wanna- marchismo funzionale, prototipo dell’elettore medio italiano o del medio cattolico di oggi. Trattasi di invidia. E della peggior specie. Per me è semplicemente geniale. E godo come un riccio a vedere che più gliene dicono, più lui sale la classifica dei giornalisti amatissimi.

 

«Do notizie forti con toni forti per raggiungere una platea più vasta» provò a spiegare una volta. Ma la sostanza è che ci va piatto su tutto. E sente la pancia, il rimestio, la rabbia del popolo che mugugna e serpeggia nelle viscere e chiede sfogo o solo udienza. Anche sui temi che sconvolgono il politicamente corretto e il tappettone woke che ha obnubilato le menti non teme rivali: «Se ci deve essere una tragedia meglio che muoia il ladro. Lo so, la dico grossa», ma «i ragionamenti di quelli che hanno le chiappe al caldo nel loro salotto non valgono una mazza». Da ragazzino voleva fare il giornalista o l’astronauta. Ma siccome l’astronauta era faccenda da star lontani da casa in un universo parallelo di creature aliene per davvero, ha scelto la prima e l’ha perseguita come un cane da tartufi. A conti fatti, è stata una fortuna per tutti. E per me, una piccola medaglia che mi appunto al petto.

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