giustizia

Alfonso Sabella rivela i giochi di potere della magistratura: "Le correnti mi hanno rovinato"

Giulia Sorrentino

«Non vedo ragioni di pentimento»: queste le parole al Corriere della Sera del giudice della Cassazione Marco Patarnello, colui che definiva il premier Giorgia Meloni più pericolosa di Berlusconi. Abbiamo chiesto di commentare la vicenda ad Alfonso Sabella, oggi giudice del tribunale di Roma, ex Pm antimafia alla Procura di Palermo.

Sabella, come valuta le dichiarazioni di Patarnello?
«Lo conosco poco, ma so che è serio e preparato. Sulla mail inviata però forse ha usato toni sbagliati, l'ha impostata in modo da dare spazio a critiche. I magistrati hanno diritto ad avere visioni diverse, il problema delle correnti è un altro».

Quale?
«Sono posti di potere, in cui si gestiscono le nomine al Csm, le progressioni di carriera dei magistrati, luoghi di smistamento di incarichi. Non tutti i vertici degli uffici giudiziari sono scelti solo per competenza, ma anche per rappresentatività. Non è giusto, il magistrato deve essere autonomo e indipendente».

Lei non fa parte di nessuna corrente, perché?
«Ne sono uscito quando vidi come trattarono Giovanni Falcone all'elezione del Csm. Un magistrato strepitoso preso per il culo dai suoi colleghi. Lo hanno illuso che poteva andare al Csm e poi non lo votarono».

Oggi i magistrati usano il nomedi Falcone e Borsellino come loro baluardo.
«Abbiamo buttato alle ortiche l’eredità, anche in termini di credibilità, che ci avevano lasciato loro e i magistrati che hanno dato la vita per il Paese.
Ce lo siamo dimenticati. Borsellino era il primo a dire che non è solo importante essere onesti, ma anche apparire tali».

Cosa ci ha insegnato lo scandalo Palamara?
«Niente. Lo sapevano tutti da vent’anni che nella magistratura funziona così. Ma quando è stato reso pubblico, serviva una riflessione, azzerare il Csm e rifare le elezioni senza correnti. Era fondamentale e non è stato fatto. Se il trojan l'avessero messo nei telefoni di appartenenti ad altre correnti, non sarebbero emerse cose diverse. Quando si tratta di incarichi direttivi di questo livello si scatena il mondo, ma è quanto di più sbagliato, perché da magistrato vorrei che si premiasse il migliore».

Spartizione che c’è anche sui procedimenti disciplinari.
«Lì le correnti influiscono nella misura in cui scattano le protezioni e ci si deve rivolgere a qualcuno per chiedere di mettere una buona parola sudi sé. Questo purtroppo accade».

Quanto ha influito nella sua vita non appartenere a una corrente?
«Mi ha rovinato la vita. Per quello che mi hanno fatto certi magistrati, soprattutto contabili, ho pensato al suicidio. Avrei preferito finire in galera, almeno potevo ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Ho tutelato la mia autonomia e indipendenza, non tornerai mai indietro, nonostante mi odino».

Odiato perché?
«Sono l'unico magistrato, forse insieme a Gratteri, che ha una visibilità senza appartenere alle correnti e questo non te lo perdonano. Sono odiato perché autonomo. Ho avuto un ruolo preponderante nel cancellare dalla storia lo stragismo corleonese. Parlo di coloro che hanno fatto saltare in aria Falcone e Borsellino. Li ho presi tutti e fatti condannare, sequestrato i loro arsenali. Quando sono stato valutato per quel periodo, nessuno ha visto i meriti, ma sono stato definito “laborioso”. Devo dire però una cosa sulla riforma della giustizia».

Prego.
«Ho il sospetto che, con un sistema penale è completamente da rifondare, si voglia puntare maggiormente su una spaccatura tra popolo e magistratura piuttosto che guardare ai problemi concreti. Se nel referendum Nordio chiede solo se la magistratura piace o no, nessuno risponderà di sì, nemmeno io direi di sì. Così si vuole solo alimentare il malcontento generale nei nostri confronti».

Aiuterebbe Nordio?
«Sì, sono un servitore dello Stato, ma lo farei con accanto a me persone che questo sistema lo conoscono davvero, non professori universitari. Ricordiamo i danni fatti dalla Cartabia, a cominciare dall’inutile udienza predibattimentale che ritarda la definizione dei processi di uno o due anni».