Vita da Carlo, intervista a Verdone: “Vorrei scappare da Roma, ma alla fine la amo troppo”
«Tra poco sarò sul set per concludere la tetralogia della serie. Poi tornerò a girare un film. Non ho mai pensato di lasciare il cinema». Carlo Verdone ha messo in stand-by per qualche anno il grande schermo. «Anche per colpa del Covid, il pubblico ha disertato per un lungo periodo le sale, tranne che per pochi titoli». Nella terza stagione di «Vita da Carlo», i cui primi quattro episodi saranno presentati stasera alle 19.30 nella Sala Sinopoli dell'Auditorium Parco della Musica, in chiusura della 19esima Festa del cinema di Roma, per poi arrivare su Paramount+ dal 16 novembre, il regista e attore romano, 73 anni, si è divertito pensando di diventare il direttore del Festival di Sanremo. Diretta insieme a Valerio Vestoso, nel cast ci sono ancora Monica Guerritore e Caterina De Angelis. Come new entry Ema Stokholma, Giovanni Esposito (che fa una specie di Lucio Presta) e Maccio Capatonda, oltre alle partecipazioni di Gianna Nannini, Nino D'Angelo, Gianni Morandi e Roberto D'Agostino.
Verdone, com'è nata l'idea di Sanremo?
«È venuta agli sceneggiatori (Pasquale Plastino e Luca Mastrogiovanni, ndr) mentre giravamo la seconda stagione. È l'ultima cosa al mondo che vorrei mai fare nella vita e loro hanno visto delle potenzialità in questa scelta così distante da me».
Ma glielo hanno mai proposto?
«Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta mi proposero la co-conduzione. Era l'era di Pippo Baudo. Ma io ho declinato. Ho fatto due, tre volte parte della giuria di qualità, ed è stata già quella un'esperienza faticosa. Noi decidevamo dei nomi e a vincere erano altri».
Se facesse veramente il direttore artistico, chi sceglierebbe come cantanti?
«Anche artisti che non ci sono più. Franco Battiato, Lucio Battisti, Mia Martini, e poi l'Adriano Celentano degli anni Sessanta, quando allora era di grande avanguardia. Anche Paul McCartney».
Dei giovani di oggi nessuno?
«Onestamente c’è una sorta di omologazione tra i cantanti di adesso. Tutti usano l'auto-tune. Ultimo è uno che ha qualcosa da dire e mi piace molto anche Elisa».
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E Sangiovanni, che aveva scelto nella seconda stagione della serie?
«L'ho sentito qualche mese fa, poco prima dei Nastri d'argento e gli ho detto che la sua interpretazione era piaciuta molto. Poi non ci siamo più sentiti. Mi sono reso conto che in quella stagione ho raccontato la sua vita. È un ragazzo molto intelligente, non conosco le sue fragilità, ma ho capito che era pressato dal lavoro».
In questa stagione ci sono una serie di camei...
«Io devo ringraziare chi ha partecipato. La cosa più difficile è stata proprio trovare colleghi che facessero le guest star. Per avere una risposta, ho aspettato da alcuni dei mesi. Tante persone che credevo generose quanto me, si sono rivelate tutto l'opposto. Ho capito che non valgono molto».
A un certo punto della serie lei, preso dallo sconforto, dice di voler lasciare il cinema. Ci ha mai pensato?
«Mai. Finirò questa serie. Il 14 novembre torno sul set per la quarta e ultima stagione. E poi mi dedico al film che sarà corale. Mi piacerebbe avere dei momenti più lunghi di pausa, ma bisogna stringere i denti. L’importante è avere sempre entusiasmo».
In questa stagione ha riscritto una poesia di Remo Remotti su Roma dove parla di "chiese vuote e palestre piene". È così che vede la Capitale?
«Ormai mi dà l’idea di una società vacua, materialista, che pensa all’estetica, a come sarà abbronzata d'estate, al fisico. Non c’è niente di spirituale e profondo. Ogni volta dico che vorrei scappare da Roma, anche per il casino di macchine che c'è. Ma alla fine voglio troppo bene alla mia città, mi piacerebbe solo vederla meglio, magari adesso con tutti questi lavori per il Giubileo sarò così».
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Oggi è più complicato far ridere?
«Molto, anche per via del politicamente corretto. Mentre scrivevamo la serie ogni volta che avevamo un'idea dovevamo fermarci per capire cosa dire e cosa no. Se penso al film di Paola Cortellesi "C'è ancora domani" lei è riuscita a fare un film curioso, strano, in un momento particolare. Ha messo insieme riflessione e divertimento, con un bel gruppo di attori. Oggi nei film, oltre alla risata, ci vuole qualcosa di più».
Del tax credit cosa pensa?
«C'è stato sicuramente un abuso di finanziamenti, è inutile negarlo. Però non possiamo farne a meno, ne hanno bisogno soprattutto i film indipendenti per trovare la luce».
In questa serie non parla della Roma.
«Non ho niente da dire sulla squadra. Non serve cambiare gli allenatori. C'è un mosaico di fondo che non combacia, vanno trovati i pezzi giusti. L'Olimpico ha 70mila spettatori, è uno degli stadi più frequentati al mondo. Eppure abbiamo una squadra che non riesce a fare un tiro in porta».
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