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La straordinaria storia de Il Tempo, l'intervista di Cerno al Giornale per gli 80 anni
Dalla nascita insieme alla Liberazione di Roma alla mail del magistrato contro Giorgia Meloni che infiamma il dibattito politico in questi giorni. Il direttore Tommaso Cerno ripercorre la lunga e affascinante storia de Il Tempo nel giorno in qui celebriamo gli 80 anni del quotidiano in una intervista al Giornale, diretto da Alessandro Sallusti. "Una storia singolare, che non tutti conoscono: Il Tempo è nato insieme alla Liberazione di Roma. Il fascismo non era finito, c’era ancora la Repubblica di Salò, c’era ancora un anno di guerra davanti, anche se nessuno lo sapeva, allora. Roma era una Capitale squassata, abbandonata, bombardata, il Re era scappato. Proprio in quel momento di caos storico nacque la scommessa di fare un giornale che tenesse insieme tutti i semi dell’Italia liberata dal fascismo: la cultura liberale, socialista, cattolica, repubblicana. E che accompagnasse la ricostruzione del paese dopo il Ventennio", racconta il direttore.
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Cerno ripercorre i momenti salienti della storia di Roma, dell'Italia e del mondo raccontati sulle pagine del quotidiano fondato da Renato Angiolillo. Alll'alba della Liberazione "fu il colonnello Charles Poletti, già politico democratico, cui il presidente Franklin Delano Roosevelt aveva affidato la gestione del governo militare alleato nell’Italia liberata, a fare in modo che" Angiolillo, "potesse accedere ai finanziamenti del Poligrafico dello Stato per pubblicare un quotidiano capace di dare voce ad una Nazione che rinasceva dalle macerie della dittatura e della guerra. Altri giornali importanti, ma compromessi con il recente passato, non ebbero questo supporto: a Roma, ad esempio, Il Messaggero".
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Il fondatore de Il Tempo era una "figura straordinaria di editore-direttore", che "scelse fin dall’inizio di far parlare tutti, aprendo le pagine alle nuove idee", racconta Cerno. Firme storiche come quelle di Vitaliano Brancati, Guido Piovene, Carlo Cecchi, Alberto Moravia, Igor Man, Mario Praz, Silvio D’Amico, che aiutarono Il Tempo a "diventare la voce alternativa ai grandi giornali storici del Nord" e "diventando il punto di riferimento dell’altra metà d’Italia, quella del Centro-Sud, e di raccontarla".
Poi l'era di Gianni Letta, "una seconda giovinezza per il quotidiano, che diventò capace di interferire e indirizzare la vita politica". Quello di Piazza Colonna, tra le sedi del potere, è però un giornale "che è sempre riuscito a mantenere uno spirito un po’ corsaro, anche nella Roma più papalina. E lo ha mantenuto pur cambiando tanti direttori - ricordo solo i più recenti, da Franco Bechis a Mario Sechi a Gianmarco Chiocci - e tanti editori. Fino ad arrivare oggi agli Angelucci, tra i pochissimi imprenditori italiani ad avere ancora la voglia e il coraggio di investire nell’editoria", spiega il direttore che racconta un retroscena dell'ultimo scoop del giornale quello della mail del magistrato Paternello: "Quella sera ci siamo chiesti: va pubblicata? La risposta era ovvia: sì. É un documento di interesse pubblico indubbio, che dimostra quanto sia ancora cruciale il rapporto tra giustizia e politica. E di questo è giusto e sano discutere".