l'intervista

Michele Bravi al Sistina: "Roma la mia seconda casa. Ecco cos'è l'amore"

Valentina Bertoli

In ognuno di noi «c’è un bambino, magari con le tende chiuse», la poesia è «una lente sul mondo» e, a volte, «andare a vedere un film al cinema è più importante di comprarsi una merenda». Michele Bravi, classe 1994, queste gemme preziose le ha scoperte in Umbria, dov’è cresciuto a stretto contatto con i nonni. Un momento che vorrebbe rivivere? Al telefono si percepisce che alza gli zigomi e accenna un tenero sorriso. Non ci pensa su molto. «L’infanzia». Stasera il cantautore va in scena al Teatro Sistina per l’ultima tappa del tour «Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi».

Perché ha scelto i teatri?
«Da ragazzino andavo spesso a teatro. Sento il racconto delle storie: che sia in musica, in prosa, al cinema, in letteratura. Il teatro è l’unico luogo che dà tridimensionalità alle canzoni. C’è un accordo silenzioso con il pubblico. Quando si apre il sipario, è come se si svelasse un mondo».

Interagisce con il pubblico?
«Molto. Rompere la quarta parete è necessario. L’esibizione musicale non è mai uguale, dipende dal pubblico».

Che rapporto ha con Roma?
«È una seconda casa. Ci tenevo che l’ultima data fosse qui, dove sono i miei amici».

«Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi» è il titolo del suo album. Perché?
«È come se avessi un processo di scrittura continuo. Quando uno chiude gli occhi, seguono quei due secondi in cui l’immagine rimane impressa. L’effetto si chiama palinopsia. Poi c’è il processo mentale che spiega quell’immagine. Quel processo, per me, viaggia sempre sul piano della scrittura. Mi vengono in mente similitudini, analogie, metafore».

Legge e approfondisce molto?
«Approfondisco ma non in termini di studio. La letteratura e la poesia mi fanno bene. La curiosità arriva dopo. La poesia ce la insegnano a scuola e diventa una materia di studio ma nasce in maniera popolare».

Torniamo alla scrittura.
«La scrittura mi aiuta a orientarmi nella vita. Poi diventa anche canzone ma quella è una conseguenza. Se io non avessi la parola sarei smarrito. Mi fa da bussola. La voce è un mezzo per far vibrare il pensiero».

Che cos’è l’amore?
«La formula perfetta non esiste. L’importante è che quella persona aggiunga pezzetti alla tua vita e non li tolga. L’amore tossico è un ossimoro».

È molto attento agli altri.
«Ci provo. Mi incuriosiscono le visioni degli altri. Poi magari non le condivido ma voglio conoscerle».

In quale tempo vorrebbe vivere?
«Mi piacerebbe saltare da una parte all’altra, vedere il big bang e l’ultimo giorno del mondo».

«Infanzia negli occhi» è un pezzo che spiazza. Com’è stata la sua?
«Bella e brutta. Ho conosciuto il bene e il male. Aver avuto un panorama vasto di umanità mi aiuta oggi ad avere più consapevolezza e più sicurezza».

Quando incontra una persona, vorrebbe conoscere la sua infanzia?
«Un po’ sì ma è anche un fatto egoistico. Quando ti innamori di qualcuno, è come se fossi geloso anche di tutto il tempo in cui quella persona non l’hai avuta con te, però ci sono dei luoghi privati che è giusto osservare da fuori».

È innamorato? Se è felice, a chi lo deve?
«Sì, molto. A tutte le persone che mi sono vicine».

«Il diario degli errori» è un brano in cui molti si rispecchiano. Perché?
«Quella canzone l’ho cantata a 20 anni e mi dicevano che, a quell’età, non si poteva parlare di errori. È una canzone trasversale. Gli errori della vita cambiano così come la loro gravità, però con il senso di colpa ci si nasce».

Mi dice un errore che rifarebbe e uno che vorrebbe cancellare?
«In ordine: le persone sbagliate che ho incontrato e scrivere di meno e parlare di più».