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Israele, accordi di Abramo "vivissimi". Fabbri: la verità sul piano strategico

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Luca De Lellis
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Un anno è di solito il tempo che si attende per azzardare i primi bilanci. Negli ultimi 365 giorni, dal pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023, sono accadute milioni di cose. E quello che era nato come un ennesimo capitolo della guerra israelo-palestinese, si è trasformato in un conflitto che riguarda tutto il Medio Oriente, come dimostra il coinvolgimento profondo dell’Iran. Bilanci, appunto. Domanda forse banale ma esaustiva è sempre: chi sta vincendo questa guerra? “Per rispondere a questa domanda bisogna prima distinguere i due campi: quello tattico, cioè lampante agli occhi di tutti, e quello strategico, che invece riguarda le dinamiche di medio-lungo periodo”, premette l’esperto geopolitico Dario Fabbri durante la puntata di Omnibus, trasmissione mattutina di La7. Che poi prosegue nella sua analisi accurata dell’anno di conflitto appena trascorso: “Sul piano tattico, a Gaza, Israele ha straperso la guerra mediatica come succede almeno dal 1967, non è riuscita a debellare Hamas sebbene proprio ieri abbia annunciato la sua estinzione dal punto di vista militare. Hamas è anzitutto un partito politico, e probabilmente l’odio che Israele ha generato con la sua controffensiva dell’ultimo anno laggiù ne ha aumentato il consenso anziché diminuirlo”.

 

 

 

Insomma, “se sul piano tattico la vittoria di Israele è ancora incerta”, ammette l’ospite della conduttrice Alessandra Sardoni, “sul fronte strategico la situazione è molto diversa, nell’immediato è favorevole a Israele, ma nel lungo periodo no”. Qui, infatti, “l’obiettivo dell’Iran, servendosi di Hamas, era quello di distruggere gli accordi di Abramo. Ossia il patto che prevede formalmente il mutuo riconoscimento tra Israele e alcune monarchie del Golfo Persico, in particolare il Bahrein e gli Emirati Arabi, a cui si aggiungono il Marocco e il Sudan che li hanno firmati a penna. Mentre l’Arabia Saudita li ha firmati a matita. Ma sono anche molto altro, e cioè la collocazione di questi soggetti, in larga parte sunniti e arabi, sotto la gonna nucleare di Israele ed è una forma di contenimento ai danni dell’Iran”. Fabbri ne è estremamente convinto, “gli accordi di Abramo”, siglati nell’agosto 2020, sono “vivissimi”.

 

 

E, a suo dire, lo dimostra il fatto che “lo scorso aprile quando l’Iran ha attaccato in maniera scenografica e comunque mortifera il territorio israeliano, a difendere Israele oltre agli inglesi e gli americani c’erano non solo i giordani – che esistono in quanto capriccio israeliano – ma anche i sauditi e gli emiratini”. Quella tra Israele e Palestina è una guerra che perdura ormai da più di qualche decennio. E un conflitto così estenuante, chiosa Fabbri, “non può essere causato solo da ragioni religiose”. Nel corso del tempo “si sono mischiate molte altre questioni”, anche perché “in questo caso sono musulmani contro musulmani, ovvero iraniani (indoeuropei) contro arabo-sunniti. E’ come se Israele e Iran si fossero spartiti gli arabi, quelli sunniti con Israele, quelli sciiti con l’Iran”. Il bilancio che conta di più in tali circostanze, purtroppo, è sempre quello dei morti, specie dei civili che poco hanno a che fare con tutte queste dinamiche di potere. E’ l’anniversario di un anno di sangue e di crisi umanitaria che, oggi, pare irreversibile in quel triste pezzo di mondo.

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