neonati di Traversetolo
Traversetolo, nessuno vedeva e nessuno sapeva. Feltri: è questa la vera “distrazione di massa”
La tragedia di Chiara, che ha partorito e sepolto due figli neonati nel giardino all'inglese della sua villetta bifamiliare di Traversetolo, volando a New York due giorni dopo l’ultimo parto e riprendendo la sua vita normale di ragazza ben inserita e ben voluta in università, in chiesa e nella frazioncina di 600 anime in cui viveva da 21 anni, solleva nello spettatore attonito il dubbio atroce che sia in atto un processo di “DISTRAZIONE” di massa. Nessuno vedeva, nessuno sapeva, nessuno comprendeva cosa stesse avvenendo nel suo corpo e nella sua mente. Non i genitori con cui ha trascorso la vita; non il fidanzato con cui divideva l'intimità dell’amore e aveva concepito due figli; non le amiche con cui si confidava la sera filtrando sogni e pensieri; non la parrocchia presso la quale prestava servizio ogni estate portando la sua energia e la sua mente brillante tra i banchi della chiesa su cui pregavano le beghine. Persino la famiglia che le ha affidato la cura dei tre figli fino al maggio di quest’anno non si era accorta di nulla, avevano trovato la baby sitter perfetta e si facevano bastare il suo sorriso sincero e franco quando accudiva amorevolmente i ragazzini e diceva d’un fiato «mi piacciono i bambini».
Nel paesello delle case basse e dei campanili che svettano in cielo chiamando a raccolta i fedeli ogni domenica mattina, oggi è un gran sussurrare e darsi di gomito, qualcuno sgattaiola via coprendo nel passo svelto e nelle spalle strette il suo imbarazzo, gli altri abbozzano pensieri frugali e spicci: «Io non sapevo», «mi sembrava normale», «era sempre allegra», «l’ho vista in maglietta e calzoncini stretti pochi giorni prima del parto». Sono abbastanza esperto dei fatti della vita da sapere che una gravidanza non si nasconde con facilità e non si manda giù come una pillolina. Cambiano il corpo, lo sguardo, la mente. Possibile che nessuno si fosse accorto del segreto di Chiara in un contesto di provincia dove persino l’ultimo degli stolti sa tutto di tutti e gli spifferi scorrono a fiumi insieme al vino bianco del circolino della sera? Piango e mi struggo al pensiero di quel povero neonato partorito in un giorno d’estate con la canicola che toglieva il fiato e appiccicava le vesti, e infilato in un sacchetto di plastica e sepolto nel terriccio dopo pochissime ore di esperienza del mondo. Ma era davvero quello il suo miracolo della vita? Una mamma giovanissima, eppure istruita, amata dalla famiglia e senza problemi economici che ti partorisce nel bagno di casa, ti guarda, sente il pianto e il profumo struggente di neonato e poi ti manda all’altro mondo? Viene il sospetto che questa ragazza vivesse in una specie di camera stagna, all’interno di un mondo apparentemente distratto o incapace di vedere e comprendere. Si svegliava la mattina, lavorava per mettere da parte due soldi, studiava con profitto giurisprudenza, poi la sera andava nel bar della piazza a scattarsi selfie e ridere con gli amici. Cosa passasse però nella sua testa nessuno lo sapeva. Tormento, dubbio forse la convinzione pericolosa e ingenua della giovinezza di attraversare dolore, morte e resurrezione senza farsi scalfire. Come nei video su tik tok o nelle serie televisive che scorrono lievi e non lasciano niente.
Oggi il sentimento che provano in tanti è quasi un senso di rimorso e frustrazione. Come è stato possibile non vedere? Torno a ripetere, viviamo in una società in cui le relazioni sono sfilacciate, storpiate, caotiche. Alcuni sociologi contemporanei parlano di esistenze convulse, in un cui orge di compassioni e pietas per l’altro si alternano a stati di odio assoluto contro un nemico momentaneo. E passata la bufera l’emozione si spegne. Si torna a vestire le proprie esistenze pallide senza essere scalfiti dall’altro. E a vivere la propria individualità ritenendo che la socialità sia solo un accessorio dell’esistenza utile ai fini del lavoro e del mantenimento della famiglia, ma nulla più. Non ho in mente cosa ci sia di più brutto del sentirsi soli in mezzo alla gente. Probabilmente era la stessa solitudine che provava la mamma di Treviso quando ha preso la figlioletta di due anni dal letto caldo della sua cameretta e l’ha condotta sull’argine del Piave. L’ha trascinata giù nel fiume pensando che fosse quel morire fluttuando la via di fuga da un sentimento tormentato, e non si rendeva conto del male che faceva alla bimba e agli altri tre figli. E forse era lo stesso vuoto che aveva nel cuore Riccardo, il ragazzino di Paderno, nel milanese, così tormentato e lacerato dal vivere e dal senso di non appartenenza alla comunità da sterminare una famiglia intera, la sua.
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Diceva Aristotele che l’uomo è un essere sociale. E si realizza solo nelle relazioni. Oggi le relazioni sono compresse in uno smartphone e la nostra voglia di entrare in relazione con il vicino dura il tempo di un battito. Otto secondi la soglia media di attenzione certificata dagli scienziati, pare che persino i pesci rossi siano capaci di una concentrazione maggiore. Ma c’è un altro aspetto che mi tormenta in questa vicenda tragica che arriva dalla provincia composta di Parma e ha trascinato le nostre vite in un abisso di sconcerto, paura e incredulità: la maternità scalfita, intaccata, tolta dal suo simulacro e ridotta a un incidente transitorio. Talmente impellente il bisogno di demolire le fondamenta della famiglia tradizionale che si fanno i corsi nelle scuole su come evitare una gravidanza indesiderata. Ma non si spende una parola sul valore indelebile dell’essere madri. Non è morto il senso di maternità ma è venuta meno l'esigenza di parlarne e istruire le nuove generazione sulla meraviglia e il miracolo dell'essere madri. E questo è un aggravio di colpa per tutti noi che sui giornali e nelle aule della politica pontifichiamo del mondo che verrà, ci danniamo l’anima per includere il diverso e l’altro, ma non diamo più importanza all’altro che viene da noi e generiamo. Non è spicciolo conservatorismo il mio, è analisi della realtà. Provo pena per Chiara e per il suo destino tragico. Ma mi interrogo su cosa, in questa vertigine di dolore, è sfuggito alla maggior parte di noi.