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Vittorio Feltri: quel calendario Pirelli una parentesi da godere in attesa del prossimo velo

Vittorio Feltri
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Odio il politicamente corretto. La sola parola mi procura l’orticaria. Comprenderete dunque il torpore che mi assale ogni volta che un artista rinuncia alla ricerca del bello per piegarsi alla dittatura di una simile confraternita. L’anno scorso il calendario Pirelli – la cui uscita è attesa dai signori della moda al pari della liquefazione del sangue di San Gennaro - fece un’operazione assai in linea con questa tendenza imperante al limite dell’ideologia, e scelse di immortalare personalità che avessero fermato il tempo col loro talento. Non le curve sinuose di Eva Herzigova o il seno dirompente di Monica Bellucci... ma personaggi straordinari e castigati, ritratti dall'africano Prince Gyasi in scenari colorati e talora sovrannaturali. Bellissimi tutti e di una noia mortale. Per fortuna errare humanum est ma perseverare è diabolico. E dunque quest’anno l’inglese Ethan James Green ha preferito tornare agli antichi fasti riproponendo la bellezza dei corpi nella loro dirompente sensualità. Seni e bicipiti scolpiti e mostrati senza timore reverenziale, in un tripudio di carne e curve femminili (purtroppo anche maschili, ma transeat), che ha sempre contraddistinto l’arte dai tempi del Rinascimento fino ai capolavori del XX secolo.

 

Ovviamente è bastato solo lo spiffero di quel che sarà l’edizione definitiva per scatenare pruriginosi chiacchiericci. Non mi soffermo sulla cantante Elodie, scelta dall’artista inglese come icona di italica bellezza. La signorina ha giustamente rivendicato la scelta di mostrarsi senza veli e usare il proprio corpo come manifesto libertario e paradigma politico perché l’erotismo è di tutti e non c’è nulla di male nell’esibirlo, ma si è poi lanciata in un’intemerata antigovernativa che francamente poteva risparmiarsi (a ognuno il ruolo che gli compete e una cantante predicatrice anche no). Tuttavia apprezzo il ritorno alla normalità del blasonato calendario e auspico che negli anni a venire non si cada più nell’errore di confondere l’esaltazione della bellezza con un’idea pasticciata di pa- triarcato di cui in verità non c’è più traccia.

Non c’è nulla di sbagliato in una donna che mostra il suo corpo con grazia e consapevolezza. E non vedo cosa ci sia di riprovevole nell’esaltazione del nudo che ha ispirato artisti di ogni generazione, a meno di voler tornare a un bieco puritanesimo che usa la clava della censura per continuare a vegetare ignorante e sereno. Se una donna si scopre pubblicamente e lo fa senza costrizioni è affare suo. Siamo liberi di guardarla o di voltarci dall’altra parte.

 

 

Ma ergersi a giudici di un certo esibizionismo innocente ci fa apparire retrogradi e oscurantisti. Al limite del ridicolo. Non si preserva la donna, si sfiora l’isteria collettiva avvicinandosi pericolosamente al modo di pensare degli islamici che la coprono con veli che sembrano campane perché la ritengono inferiore e presumibilmente fonte di peccato.

Anche miss Italia purtroppo è caduta nel tranello dei benpensanti di sinistra con la penna inchiodata alla "F" di femminismo. Il concorso più vecchio e paludato della storia del costume italiano avrebbe scelto di rinunciare al bikini – anche il più castigato – per proporre le ragazze nella loro quotidiana normalità. Camicetta e calzoncini corti come le nonne quando andavano sulle spiagge con le mutande alle ginocchia e la mantellina sulle spalle. Il che va benissimo per alimentare i ricordi nostalgici della nostra generazione agè, ma snatura il senso di una manifestazione nata fondamentalmente per valutare la bellezza delle fanciulle. Meglio abolire il concorso che mettergli la sottana. E sa di grassa ipocrisia esigere che giovani donzelle candidate al podio di reginetta di bellezza si propongano come impiegate compite o intellettuali da salotto.

Rimpiango i tempi in cui le signorine buonasera annunciavano i programmi televisivi, splendide e sorridenti senza sentirsi vittime di patriarcato. O Sofia Loren passeggiava leggiadra in mutandine e reggiseno davanti alla giuria di miss Italia facendo presagire l’esorbitante rapimento che avrebbe colto tutti noi nel vederla sfilare la calza e poi il reggicalze davanti a un arrapato Mastroianni (nel film "Ieri, oggi, domani"). Non c’era sottomissione. Svilimento o remissività. Ma solo la serenità e l’orgoglio della bellezza. Anche dell’Olympia di Manet si disse che era offensiva perché alludeva a una prostituta discinta in attesa del prossimo cliente con nient’altro addosso che un bracciale, un laccetto al collo e un paio di pantofole ai piedi. Provocatoria – si rilevò - a tratti lesiva di quel pudore borghese che era vanto dell’epoca. Ma era l’800 e si poteva perdonare.

In tempi recenti la scure si è invece abbattuta sul David di Michelangelo e persino sul Gesù prostrato della via crucis. Dunque godiamoci il Pirelli 2025, nudo, irriverente e ahimè inclusivo. Se non altro sarà una parentesi di sincerità prima del prossimo velo.

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