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Olimpiadi, il rammarico di Di Centa: “Pensate alla bellezza delle gare ospitate tra i monumenti romani”

Edoardo Sirignano
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«Pensate ai Giochi tra la storia millenaria di Roma. Vivendo Parigi, più di una volta ho immaginato la finale di pallavolo nel Colosseo o la gara di tiro nell’arco nel Circo Massimo. Altro che modernità, avremmo rivissuto la grandezza dell’Olimpiade prima di De Coubertin. Qualcuno purtroppo non ha avuto la capacità di guardare oltre e dunque l’ ennesima occasione sprecata. Non voglio spingere per ricandidare la Capitale, ma quanto abbiamo perso». A dirlo Manuela Di Centa, leggenda dello sci di fondo e dirigente del Cio.

Siamo arrivati ormai alla fine della rassegna francese. Come si sono comportati gli azzurri?
«I bilanci li faremo dopo l’ultima gara. Posso dire, però, che ogni medaglia è un pezzo di storia sia per l’atleta che per la nazione. Vincere un’Olimpiade ti resta per sempre. Le imprese di Errani/Paolini nel tennis o di D’Amato nella ginnastica non saranno mai dimenticate. In una rassegna del genere, poi, non contano solo i podi. Basti pensare alla finale dei 100 metri di Jacobs. Esserci, in quell’occasione, è già un’impresa. Da dirigente Cio, posso dire che l’Italia ha vinto perché protagonista in ogni disciplina e ciò non era affatto scontato».

 

 

Questa rassegna, intanto, sarà ricordata soprattutto per un’organizzazione non eccepibile. Basti pensare ai letti di cartone...
«In qualsiasi villaggio olimpico c’è stato un qualcosa che non ha funzionato. La verità è un’altra: l’esplosione dei social ha trasformato questi giorni in una sorta di grande fratello. Detto ciò, chi attribuisce una cattiva prestazione al letto in cui ha dormito o all’aria condizionata commette un errore. Ogni atleta dovrebbe dare il massimo a prescindere e non trovare inutili giustificazioni».

Condivide, dunque, la scelta di lasciare gli atleti senza aria condizionata?
«In quest’edizione si è aggiunta una componente nuova, che si bilancia, alla perfezione, con lo spirito olimpico: l’attenzione per l’ambiente. Gli atleti, da mesi, sapevano che non ci sarebbero stati i condizionatori. Dovevano, dunque, prepararsi a questo. L’importante è che tutti siano stati nelle stesse condizioni».

Che ne pensa di Ceccon, fotografato a dormire sul prato?
«Amo dormire sull’erba. Mi sento vicina alla terra. È espressione di me stessa. Penso che Ceccon si sia ritagliato quel momento sul prato per cercare una dimensione sua, fondamentale quando bisogna trovare la giusta concentrazione».

 



Altro problema l’inquinamento della Senna. Non si poteva nuotare in un bacino più sicuro?
«Le gare nella Senna si sono svolte ed è stato uno spettacolo. Qualche problema c’è stato, ma sbagliato alimentare polemiche. Lo sforzo di rendere un bacino vivibile, a mio parere, dovrebbe essere apprezzato a prescindere. Guardiamo le cose con positività. Se gli atleti stanno male certamente non è una bella cosa, ma se li hanno fatti gareggiare in quelle acque significa che c’erano le condizioni minime per nuotare».

Parigi, dunque, ha superato l’esame?
«Dentro la storia di Parigi, abbiamo messo lo sport. Siamo di fronte a un’organizzazione immersiva, una novità. Per quello che ho visto e per come ho vissuto questi giorni, non ci sono stati particolari inadempienze. Tutto, poi, si può fare meglio. Dopo qualche incertezza iniziale sui trasporti, si è sempre cercato divenire incontro a ogni esigenza. Un record indiscusso, ad esempio, quello del pubblico. Tribune stracolme ovunque».

 

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