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Cassini, Minoli: "Gli autori non sono pagati per commentare i post di Meloni"

Edoardo Sirignano
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«Gli autori non vengono pagati per occuparsi di Meloni. La Rai, negli ultimi anni, non eccelle per i suoi programmi e la colpa non è certamente del governo». A dirlo Giovanni Minoli, il padre delle interviste, cacciato tante volte dalla tv di Stato, pur avendo ideato format che hanno fatto la storia del piccolo schermo: Mixer, un Posto al Sole, solo per citarne qualcuno.

Ritorna d’attualità il dibattito sulla libertà d’informazione. Condivide l’allarme sollevato dall’Europa, soprattutto per quanto concerne il piccolo schermo?
«Non lo condivido affatto. L’unica certezza sulla tv è che non è bella come un tempo. Dire che è “di parte”, come sostiene qualcuno, però, è un’esagerazione. Non capisco, poi, cosa si voglia dire con questa espressione. È come quando è stata fatta una polemica sulla fuga di Lucia Annunziata, pur essendo una vita che voleva fare il deputato europeo. L’ha sempre detto e adesso finalmente lo fa. Cosa c’è di strano? Medesimo ragionamento vale per Fazio che è andato a lavorare su un’altra emittente. È il mercato. Pippo Baudo e Raffaella Carrà sono andati via dalla tv di Stato e poi sono tornati. Nessuno si è strappato le vesti. La mia sensazione è che qualcuno, non sapendo cosa dire o scrivere, s’inventa tante piccole polemiche, che lasciano il tempo che trovano».

Altra polemica estiva quella sui palinsesti, che sarebbero orientati. Che idea si è fatto?
«A mio parere, non ha ragione di esistere. Basta accendere la televisione e capire che non va in onda nulla di nuovo. Sono tutte repliche. La creatività, negli ultimi tempi, non è il pezzo forte della Rai».

Il nuovo autore di Affari Tuoi, come riportato su queste colonne, intanto, finisce nel mirino per un post abbastanza polemico sul viaggio della premier in Cina...
«Sono sincero, non ho capito bene il contenuto di quel post. In italiano cosa vuol dire? La prossima volta, a questo signore, consiglierei di essere più chiaro».

Si dovrebbe concentrare di più sui contenuti e meno sui viaggi di Meloni?
«Non conosco questo autore, magari è bravissimo e fa delle cose interessanti. Non posso giudicarlo dal punto di vista professionale. Detto ciò, la qualità dei programmi Rai non mi sembra elevatissima. Questo è un dato di fatto».

Quale la ragione?
«Non vedo progetti nuovi, a parte qualche eccezione. Aumentano gli autori, ma non cresce la qualità. Stiamo parlando, comunque, di un trend che va avanti da un po' di tempo a questa parte. L’ultimo cambio al vertice non c’entra nulla. Ogni tanto c’è uno bravo, che indovina un programma».

L’attuale vertice dell’Ue, però, si sofferma solo e soltanto sull’eccessiva politicizzazione dell’informazione...
«L’Europa, nell’ultimo periodo, non sa tanto cosa fare. Mi sembra un po' confusa. La nuova maggioranza, composta da socialisti, liberali e verdi, d’altronde, non corrisponde alle opinioni dei vari popoli europei, né degli italiani, né dei francesi e probabilmente neanche dei tedeschi».

L’ultimo report sulla libertà d’informazione, ad esempio, contiene solo alcune fonti, dimenticandone altre?
«A scuola, sin dalla prima elementare, ci hanno insegnato che le fonti devono essere molteplici, così come dovrebbero avere opinioni diverse. In quest’Europa, al contrario, basta che siano orientate. È una novità».

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