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Vittorio Feltri, contro le atrocità sugli animali l'inutile ambientalismo a gettone

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Caracas era un gattino randagio della periferia di Roma. L’hanno legato ai binari della stazione con il filo bianco e rosso che delimita i cantieri. E lui è rimasto lì, silenzioso e attonito ad attendere la morte, mentre il treno giungeva lento e inghiottiva la notte. Un altro l’hanno gettato da un ponte di Lanusei come una pallina da baseball, mira, rincorsa e il miagolio forsennato che non ferma l’orrore e non squarcia la mente dello stupido carnefice. Un terzo l’hanno torturato, ucciso e appeso al cassonetto dell’immondizia perché fosse più chiaro lo scempio e nessuno confondesse l’afrore della frutta invenduta del mercato di Crotone con quello di un gattino in decomposizione. Giorgio infine era un cagnolone della capitale, un ammasso di pelo innocuo e scodinzolante che non faceva male a una mosca e girava col suo padrone senzatetto per fare a metà della solitudine e di un destino di sfighe. Due uomini si sono accaniti su di lui e l’hanno accoltellato a morte buttando la carcassa nel fiume per levare via il sangue e la vergogna di quel gesto insensato. Orrori di un’estate torrida di paese in cui anime perse in cerca di sollazzo stanno prendendo di mira animali inermi per i loro giochi sadici da postare sui social.

Pare che i gattini siano i più sfortunati perché sono indifesi e perché è facile incontrarli nei vicoli polverosi mentre vagabondano dietro a qualche boccone succulento. Ma nel novero delle vittime entrano sempre più frequentemente i cani e persino i poveri gabbiani che a Roma si pascono dei rifiuti lasciati a macerare al sole da una amministrazione inconcludente, mentre sul mare veleggiano innocui seguendo la scia delle navi e il sogno di mete lontane. Li attirano vicino alla barchetta dei vacanzieri annoiati con una promessa di cibo e poi li pigliano a sassate. Sono abbastanza esperto di faccende umane e vizi capitali per sapere che violenze sugli animali si sono sempre consumate in questo mondo matto. Ma erano il giochino stolto di qualche bambinetto scanzonato che non sapeva distinguere il bene dal male e nei cortili dei caseggiati svuotati dall’esodo estivo esibiva la propria scempiaggine tagliando la coda di una lucertola e credendo che fosse quello il passaggio all’età adulta. Ora queste atrocità sono diventate la routine di ragazzotti scemi che hanno letteralmente passato il confine della decenza. E commettono il reato o lo riprendono persuasi che filmare e postare renda meno obbrobrioso e reale l’atto.

Oddio, il clamore mediatico non manca mai. Siamo bravissimi nell’arte di piangere il morto e poi scordare il nome che aveva. Fateci caso: ogni volta che un animale viene ucciso o torturato schiere di animalisti benpensanti fanno a gara sui social per dire la loro e denunciare abominio e sconcerto. E quando l’indignazione arriva ai banchi del Parlamento scorrono puntuali fiumi di agenzie con promesse di leggi e inasprimenti delle pene contro chi tortura e uccide gli animali. La realtà è che conosco pochi deputati seriamente impegnati a fermare l’orrore. Oltre loro però il nulla. E quasi nulla accade. Si sposa una battaglia per tutelare l’interesse di una parte e i voti, non perché importi qualcosa del maiale destinato al macello. Tempo due giorni e si spegne il clamore, e dai banchi sonnolenti della Camera si leva qualche esponente di partito che propone un emendamento al giro di vite che salvaguarda lo status quo e i consensi.

L’impressione è che in questo nostro paese, in cui milioni di persone hanno almeno un animale domestico accanto, imperino un animalismo e un ambientalismo a gettone. Migliaia di parole e ipotesi al limite del complottismo sul surriscaldamento climatico che non c’è ma sugli esseri viventi che popolano il globo si insegna nulla. Perché ai ragazzini non si spiega che uccidere un animale è una bieca nefandezza? Perché non si propagano il rispetto e l’amore per la fauna delle nostre città?
Un tempo c’erano i preti a insegnare i rudimenti dell’altruismo, oggi non si vedono neanche loro rintanati come sono nelle chiese a pregare e sperare. Non c’è nulla di più vigliacco al mondo che prendersela con un debole. Persino gli animali non infieriscono su fragili e malati. Cacciano per necessità, mai per divertimento. Segno che forse dovremmo imparare qualcosa da loro e non ergerci a giudici e talvolta carnefici dei loro destini. Non posso esimermi da un’ultima considerazione ed essa riguarda gli orsi.

Esemplari maestosi che abitano le nostre montagne in virtù di una campagna di ripopolamento che non hanno voluto loro ma l’uomo, e che dunque fanno gli orsi. Si spostano, si riproducono, proteggono i loro cuccioli e si spingono nei luoghi dove sanno di trovare cibo. Se incontrano un umano il più delle volte fuggono ma se si sentono minacciati si difendono. A nessuno piacerebbe trovarsi di fronte un plantigrado incazzato perché protegge la sua prole. Ma in tanti anni che seguiamo le cronache un solo incidente mortale ha coinvolto l’uomo. Mentre di orsi ne sono caduti uno dopo l’altro. Protagonisti talvolta di storie epiche come il mitico M49, l’orso Papillon che non voleva piegarsi alla legge dell'uomo e alle sue gabbie insensate e fuggiva ogni volta che veniva catturato. Dunque pensiamoci prima di armare la mano dei cacciatori dal grilletto facile. O un’ecatombe si compirà senza che nessuno abbia sulla coscienza il peso di un’altra crudele bestialità.

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