RESTRIZIONI IN CARCERE
Chico Forti, dopo il caso Lucarelli-Travaglio sospese le visite
Visite sospese e perfino telefonate vietate. Sono giorni duri quelli che sta vivendo Chico Forti nel carcere di Montorio, in cui è recluso dal trasferimento dagli Stati Uniti. E dove, nonostante le limitazioni da recluso, Chico aveva iniziato una nuova vita, riappropriandosi della dignità di essere umano che 24 anni di carcere di massima sicurezza gli avevano tolto, in attesa che si compisse il suo destino di morire in prigione per l'omicidio di Dale Pike, ucciso il 15 febbraio 1998 a Miami. Forti, rientrato in Italia grazie al governo Meloni dopo decennali tentativi degli Esecutivi precedenti, pur conscio di dover scontare il resto della sua pena nelle patrie galere, era tornato a sorridere perché aveva ottenuto il permesso di rivedere sua mamma Maria, riceveva le visite a Verona degli amici di sempre, poteva telefonare a zio Gianni, nell'attesa di accedere ai benefici previsti dal nostro ordinamento. Ma l'entusiasmo per la sua terza vita, dopo i successi da sportivo e il capitolo del suo sogno americano diventato incubo, si è trasformato in sconforto, a causa della strana storia venuta a galla la scorsa settimana.
Una trama che vede Chico come una sorta di mandante, secondo le accuse di un altro detenuto, bollate da Forti come false. L'altro prigioniero avrebbe raccontato che l'italiano, scampato al carcere a vita in Usa, gli avrebbe chiesto di far intervenire la 'ndrangheta per zittire Marco Travaglio e Selvaggia Lucarelli, «rei» dei reiterati attacchi portati avanti sul Fatto Quotidiano contro Forti, accolto in prima pagina con il titolo «Benvenuto assassino». Il compagno di prigione che avrebbe raccolto la richiesta, implicato con i clan e accusato di truffa tanto che il giudice ha rilevato la sua «indiscussa abilità nel mostrare falsi segnali di resipiscenza», non godrebbe di grande credibilità, eppure ha raccontato l'episodio al garante dei detenuti, il quale ha avvisato Travaglio che, a sua volta, ha denunciato tutto alla Procura di Verona. Nonostante la totale mancanza di indizi e il chiarimento di un terzo testimone che sostiene come Chico non abbia usato quei termini, i magistrati veronesi hanno aperto un fascicolo, senza indagati né ipotesi di reato. Tanto è bastato per annullare i diritti del detenuto Forti, che essendo finito nel mirino degli inquirenti ora sta subendo pesanti ripercussioni sulla sua condizione carceraria.
I giudici di sorveglianza hanno infatti sospeso il diritto di visita: Chico non può vedere nessuno dal giorno in cui il caso è deflagrato. Quella mattina aveva ricevuto un amico, che l'aveva informato del polverone mediatico. «Sono sconcertato. Io non ho mai detto né pensato una cosa del genere. Sarei un pazzo, proprio ora che ho la possibilità di sperare nella libertà», aveva giurato Forti. Da allora il silenzio, perché al detenuto è stata vietata perfino la possibilità di fare telefonate con l'esterno. Mentre fuori si susseguono altre storie fantasiose, come quella raccontata dalla Lucarelli, la quale, per attaccare la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha narrato la fake news che «durante il processo un informatore della polizia americana, esperto di arti marziali, rivelò che Chico Forti anni prima, ignaro della sua collaborazione con la polizia, gli aveva chiesto di trovare un sicario per far fuori un avvocato di Miami che stava intralciando i suoi affari. Ora Forti ripete lo schema e vuole ingaggiare la ‘ndrangheta contro me e Travaglio. Di fatto è lo stesso modus operandi». Peccato che nessuno conosce questo fantomatico racconto sul sicario, di cui non c'è traccia nelle carte. Nei 18 giorni del processo sfilarono ben 55 testimoni, ma l'informatore non fu chiamato a testimoniare, né la questione fu mai menzionata dagli accusatori. Nessun elemento, né allora né oggi. E Chico è di nuovo un capro espiatorio.