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Pd, il "correntone" da Speranza a Franceschini: chi vuole fregare Elly Schlein

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Mira Brunello
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In pratica un altro Pd, lontano parente di quello che ha Elly Schlein come segretaria da un anno e mezzo. Un partito a misura e somiglianza del Labour Party di Keir Starmer. Che pensa prima ai problemi del Paese, e relega in secondo piano le logiche di corrente. È il sogno, o l’illusione, di Giorgio Gori, l’ex sindaco di Bergamo, appena eletto come eurodeputato a Bruxelles. Per Gori è un po’ il filo conduttore di tutta la sua esperienza politica, cominciata alla Leopolda con Matteo Renzi e proseguita rimanendo nel Pd accanto alla minoranza di Lorenzo Guerini. Per questo l’ex direttore delle reti Fininvest non è mai andato particolarmente a genio alla segretaria ed alla sua idea di campo largo con Giuseppe Conte da una parte ed Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni dall’altra.

 

Un partito di impostazione «gruppettara» e del tutto collocato a sinistra, che non a casa ha come riferimento il radicalismo delle Ocasio-Cortez, più che il pragmatismo dei labouristi inglesi. «Non vinceremo mai con una coalizione troppo spostata a sinistra- dice infatti l’ex primo cittadino lombardo ai vertici dem». E sembra più un messaggio di guerra, che una fredda constatazione. Non l’unica preoccupazione di giornata per il Nazareno, perché oltre a Gori (che è da sempre nella lista nera), si studiano attentamente le mosse di due "quasi" amici, i cui movimenti destano qualche preoccupazione. Per di più sostenitori della prima ora come Dario Franceschini e Roberto Speranza. Diversa matrice culturale (l’ultimo democristiano doc e l’allievo prediletto della ditta di bersaniana memoria), un’amicizia nata all’epoca dei consigli dei ministri del Conte due, quando entrambi difendevano contro tutti la linea dura sul Covid.

 

Ora il vero regista di tutte le trame dem, da qualche mese, si è messo in testa di formare una sorta di correntone, per condizionare l’indisciplinata Elly e contribuire alle prossime scelte. L’ex ministro della Salute ha deciso di andare a vedere le carte del collega più anziano, e di uscire dall’angolo in cui la segretaria del Pd l’ha cacciato (preferendogli i fedelissimi tipo Marta Bonafoni e Marco Furfaro), ignorandolo anche sulle questioni della sua Basilicata. E che le acque abbiano ripreso ad essere agitate al Nazareno, si evince anche dalla "riforma" del partito, annunciata in direzione. Una formula fumosa per dire che riprenderanno le ostilità nei territori contro i "cacicchi", governatori di Regione o amministratori, ma anche semplici oppositori della linea ufficiale. In più c’è il "cataclisma" creato nella Capitale dalla separazione tra Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini e Claudio Mancini (quindi anche Roberto Gualtieri).

Una divisione che ha indebolito l’ex presidente della Regione Lazio, e conseguentemente rafforzato i due aspiranti che vorrebbero prendere il suo posto, Dario Nardella (per Franceschini) e Matteo Ricci (per Bettini). Più che un’estate militante, un’estate in trincea.

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