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Coop rosse: chi ha preso i soldi di Mafia Capitale. Buzzi accusa i “compagni”

Edoardo Sirignano
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«Io mafioso ho lasciato le cooperative piene di soldi e questi signori indicati da Legacoop e giudici se li sono pappati». Così Salvatore Buzzi, protagonista, insieme a Massimo Carminati, dell’inchiesta «Mondo di Mezzo», nota in tutto il mondo come «Mafia Capitale», spiega come quei professionisti, che dopo le note vicende giudiziarie, avrebbero avuto il compito di purificare e sanare le aziende del terzo settore coinvolte nei vari processi, «hanno finito col trasformare realtà virtuose, che davano da mangiare a migliaia di famiglie in società indebitate, il cui avvenire è più che incerto. Il caso di Claudio Mengoli, il commercialista, condannato qualche giorno fa a 3 anni e 7 mesi dal gup Alberto Ziroldi, per aver svuotato le casse delle aziende di cui era liquidatore, mediante l’apertura di conti correnti ad hoc, che poi servivano a spostare i soldi nelle sue tasche, ne è la prova». Tra i reati, contestati dalla pm Rossella Poggioli, infatti, appropriazione indebita, peculato e impiego di denari di provenienza illecita. La moglie Samantha Bonazzi dovrà scontare addirittura due anni di reclusione per l’impiego di beni di provenienza illecita e truffa, legato alla compravendita di Rolex da migliaia di euro. Una verità inquietante che viene fuori soprattutto grazie a quei soggetti che si sono costituiti parte civile.

 

 

Tra questi la cooperativa Eriches 29, una tra le realtà che dopo l’inchiesta capitolina, su indicazione di Legacoop, era stata affidata a una serie di super-tecnici, che avrebbero avuto il compito di rimetterla sulla buona strada. «Così – rivela Buzzi – non è stato. Anzi, da tutta questa vicenda, è emerso quel marcio, che ho sempre denunciato e che è molto peggio di quello per cui sono stato accusato. A differenza di questi signori, di cui leggo oggi sui giornali, ho messo sempre al primo posto, quelle che a casa mia, erano la seconda famiglia. Stiamo parlando di realtà, in continua crescita, di giovani che riuscivano a realizzarsi e di interi nuclei familiari che hanno trovato una stabilità. Con me, infatti, non mangiava uno, ma tanti. Nonostante ciò, pur avendo commesso degli errori, solo io e qualche altro siamo passati per mafiosi, mentre tutto il resto era buono. Sono rimasto di stucco quando ho visto che quelli che avrebbero dovuto dare l’esempio, hanno fatto peggio, distruggendo in pochissimo tempo modelli di buone prassi. A mio parere, è venuto fuori un sistema peggiore di quello per cui sono stato demonizzato. Signori, come Mengoli, infatti, non si sono trovati a fare i liquidatori a caso, ma sono stati scelti e preferiti da quelle famose cooperative rosse, che insieme ad alcuni giudici, hanno preferito dei curricula, scartandone altri. Spero che non siano tutti come il signore di Bologna, altrimenti ne vedremo delle belle».

 

 

Per quello che è stato definito, per anni, il ras delle cooperative, dietro a tale operazione ci sarebbe una vera e propria regia politica, che per Buzzi «riguarderebbe sempre la stessa parte, ovvero quei compagni, che prima mi pagavano il caffè tutte le mattine, chiedendomi assunzioni e poi, quando sono usciti i fascicoli, mi hanno tolto il saluto. Sapevano, infatti, che le cooperative le riempivo e non le svuotavo. Con me stavano bene in molti e non si arricchivano pochi». Una cosa è certa, il sociale o meglio ancora il terzo settore, ancora una volta, finisce con l’essere il centro di un mondo grigio, che sembra essere addirittura peggiore di quella Mafia Capitale, raccontata nei romanzi sulla criminalità laziale. «Il marcio – sottolinea Buzzi – non è a Roma. La capitale è solo il velo per coprire altro. Lo scandalo Soumahoro, la condanna a Mengoli sono la punta di un iceberg, l’inizio di un qualcosa di ampio e articolato, che vede appunto quelli che all’esterno fanno i moralizzatori, che puntano il dito, come i protagonisti assoluti. Ho ammesso le mie colpe e ho pagato un prezzo altissimo, ma attenzione perché il peggio deve ancora venire. Quanto successo a Bologna ne è la prova».

 

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