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Pride, Paola Concia: "La mia sinistra non vieta agli ebrei di sfilare"

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Edoardo Sirignano
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 «A voler polarizzare, a tutti i costi, la battaglia sui diritti è quel Pd che, fino a qualche anno fa, non voleva un carro al Pride. Sono trenta anni che si balla per le strade della capitale, ma siamo l’unico paese fondatore dell’Ue a non avere una legge contro l’omofobia e la transfobia. Qualcuno dovrebbe porsi qualche interrogativo. A dirlo chi è stata isolata dai compagni solo perché voleva andare oltre le passerelle e risolvere problemi». Non utilizza giri di parole Paola Concia, ex deputata e simbolo indiscusso del mondo progressista per quanto riguarda le battaglie Lgbt.

Per una linea indirizzata principalmente al confronto, qualcuno l’accusa di aver cambiato casacca?
«Sono e sarò sempre una donna di sinistra, ma la mia sinistra non è quella che inasprisce le diversità o vieta agli ebrei di partecipare a un corteo. Certamente, poi, non hanno diritto a dare patenti dirigenti, che fino a qualche anno fa, esortavano i militanti a non partecipare ai Pride».

Quest’anno, intanto, è stato il trentennale della kermesse romana. Quali i risultati raggiunti fino a ora?
«La domanda che dovremmo porci è: dopo un trentennio a che punto siamo? E l’interrogativo non deve essere rivolto solo a una destra, che è da due anni al governo. A Palazzo Chigi non c’è stato solo Fratelli d’Italia. L’unica legge che abbiamo, sulle Unioni Civili, non dimentichiamo che è stata fatta dall’odiato Renzi, che trovò un compromesso con 27 Ottobre 2021 Data in cui è stato bocciato il ddl Zan al Senato con 154 voti contro 131 più due astenuti Alfano. Certamente non era e non è un testo completo, ma perché non hanno fatto niente quei grillini che, della StepChild, fanno il loro grido di battaglia?».

Stiamo parlando, d’altronde, della sinistra che non volle il ddl Zan.
«Nel ddl Zan il Pd non accettò un compromesso con la destra per far passare una legge contro l’omotransfobia. Lo stesso era accaduto diversi anni prima quando ci provammo io e Mara Carfagna. Anche in quell’occasione fummo ostacolate dal Nazareno. Anzi, a causa di ciò, sono stata isolata e messa da parte».

Quale la differenza trai Pride tedeschi e quelli italiani?
«In Germania il Pride non ha colori politici, anzi è concepito per superare le diversità.
Ogni forza politica ha il suo carro, compreso il Cdu della Merkel, tra i più attivi nell’organizzazione. Lo scopo è esclusivamente quello di abbattere i muri».

A Roma, invece, non hanno potuto sfilare gli ebrei. Non le sembra un controsenso?
«Assolutamente! Il Pride di Roma ha perso un’occasione straordinaria. Facendo sfilare delle macchine da festa con bandiere di Palestina e Israele insieme si poteva fare quello che non è riuscito ai grandi della terra. Stesso discorso vale per russi e ucraini, che si potevano mettere insieme. Non è stato, invece, permesso ai fratelli e sorelle ebrei di partecipare all’evento. È gravissimo. Mentre a Colonia sono gli stessi organizzatori del Pride a garantire la sicurezza, qui alimentano l’odio».

Non le risulta strano che in Parlamento non sia stata spesa una sola parola?
«È vergognoso. Mi sarei aspettata interrogazioni bipartisan.
Il Parlamento ha preferito restare in silenzio rispetto a una chiara forma di antisemitismo».

Al posto del Circolo Mieli, come si sarebbe comportata?
«Avrei sfruttato questa grande festa per creare ponti, per riallacciare relazioni utili a raggiungere risultati. Se il mio unico obiettivo è combattere le discriminazioni, senza se e senza ma, al posto loro avrei invitato Meloni e la stessa Roccella, le uniche d’altronde che ora hanno la facoltà di poter legiferare. Bene Schlein a farsi vedere e a sostenere le nostre battaglie, ma le belle parole da sole non bastano».

In quest’edizione finito nel mirino finanche Papa Francesco. Perché?
«La Chiesa sui diritti deve fare molti passi in avanti, ma non sono d’accordo, a parte un’uscita poco felice, nel bersagliare il primo pontefice che davvero ha tentato di cambiare le cose, facendosi anche qualche nemico di troppo».

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