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Matteotti, intervista alla nipote: “Brava Meloni, parole chiare su mio nonno. Voltiamo pagina”

Aldo Torchiaro
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La cerimonia con cui a Montecitorio si è ricordato Giacomo Matteotti, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, ha colpito anche gli studiosi e gli intellettuali dell’area riformista: «Una bella occasione in cui si sono usate parole importanti», il commento dello storico Zeffiro Ciuffoletti, che sulla storia del Psi ha scritto oltre trenta volumi. «E un bel segnale di unità nazionale, al di là di ogni vecchio steccato». Anche Riccardo Nencini, ex senatore socialista e autore di due libri sulla vita di Matteotti, alla Camera tra gli ospiti d’onore della cerimonia, traccia un bilancio positivo: «È stato un momento di riflessione importante, anche se sarebbe stato opportuno ricordare Matteotti con l’unico aggettivo a cui egli teneva: socialista». È proprio guardando all’album di famiglia che abbiamo chiesto anche il parere di Elena Matteotti, 67 anni, nipote del leader socialista ucciso dagli squadristi cento anni fa.

Lei, Elena, è la nipote diretta del segretario socialista assassinato nel 1924?
«Sì, io e mia sorella siamo le due figlie di Matteo, il secondo bambino che nostro nonno Giacomo ebbe da sua moglie, mia nonna Velia, tre anni prima di morire».

Si è mai dedicata alla politica?
«Mai, se non come materia di studio umanistico. Sono insegnante, mi sono sempre occupata del mio lavoro. E in famiglia non abbiamo mai parlato molto di politica».

 



Mai, neanche con suo padre?
«Le sembrerà strano ma lui non ci ha mai voluto parlare di mio nonno. Non ha mai nominato suo padre Giacomo. Forse per tenerci al riparo dalla spirale dell’odio, per preservarci. Chissà. Di fatto, in casa non ci ha mai raccontato niente di quella storia».

Scusi ma quando ha saputo di essere nipote del più famoso martire del fascismo?
«A sei anni mio padre ci portò con sé sul Lungotevere, in quello che poi capii essere il luogo del sequestro di mio nonno. Trovai moltissime persone, riunite per commemorarlo. Tra loro c’erano Saragat e Nenni, che mi indicarono il punto dove mio nonno era stato prelevato dalla macchina degli squadristi. Io non capivo. Solo lì ho intuito che mio nonno doveva essere stato una persona importante. Ma tornati a casa, non se ne parlò più».

Lo shock per aver perso il padre in quel modo, a tre anni...
«Mio papà rimase orfano di padre a tre anni e poi della madre. Ebbe un’embolia e morì in ospedale, dopo l’intervento. Una storia famigliare sfortunata».

Lei sta girando le scuole, incontrando gli studenti. E lo scorso 25 aprile aveva chiesto un messaggio chiaro alle istituzioni. Lo ha avuto?
«Adesso direi proprio di sì. Temevo che non ci fosse un riscontro così chiaro, sono stata piacevolmente sorpresa. La celebrazione del 30 maggio è stata accompagnata da parole che non lasciano spazio all’ambiguità».

 



Cosa pensa dell’intervento di Giorgia Meloni?
«L’ho apprezzato molto. Ha chiamato le cose con il loro nome, e io apprezzo molto la chiarezza. Mi è piaciuta, dobbiamo riconoscerle di aver superato ogni aspettativa».

Ma lei è una donna di sinistra?
«Sì, sono ereditariamente di sinistra. E pronta a riconoscere che con Giorgia Meloni può iniziare un dialogo. Ha detto cose chiare e importanti. Ce ne hanno messo di tempo, per dirle, eh. Ma forse è giusto così. Perché c’è un lavoro che ciascuno fa per mettere da parte l’acredine e provare ad andare verso l’altro».

La incontrerà?
«Vorrei incontrarla, mi farebbe molto piacere avere un confronto con lei, sotto tanti punti di vista. È una donna che mi incuriosisce, che mi farebbe molto piacere conoscere. Anche perché ha capito che dobbiamo saper voltare pagina».

 

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