l'intervista
La7, Minoli: "Sbagliato dire che Meloni ce l'abbia con alcune emittenti"
La scelta di Meloni conviene soprattutto a La7. Le ha dato quasi una patente di servizio pubblico, di rete di servizio. A dirlo Giovanni Minoli, più di un semplice pezzo di storia della tv italiana. Meloni, infatti, utilizzando uno spazio autogestito, lancia una stilettata contro il settimo canale. Se Cairo non risponde, però, a essere irritati il conduttore di Piazzapulita Formigli, con cui è in atto d una diatriba per l’assenza di esponenti di FdI al suo talkshow ed Enrico Mentana, che ribadisce l’assenza di Giorgia al confronto di fine campagna elettorale da lui organizzato.
Come giudica l’ultimo spot della premier su La7, su cui si è aperta una polemica?
«Se fossi stato in lei, non ne avrei avuto bisogno. Pur avendo molta stima nei confronti di Meloni, non mi sembra sia stata una scelta brillante».
A irritare soprattutto TeleMeloni.
«Prima di TeleMeloni, c’era TelePd, TeleRenzi, TeleCraxi o TeleFanfani. Il problema sta in una legge che dice che il Cda della Rai lo sceglie chi è al governo. A maggior ragione se c’è una staffetta, poi, la questione si complica, rallentando progettualità e sviluppo. Lo stesso è accaduto con Craxi e De Mita. Non è un caso, infatti, che programmi nuovi e significativi non se ne sono visti, mentre hanno funzionato quelli che c’erano già. Gli ultimi direttori certamente non si sono inventati Amadeus o Fiorello. C’erano da trenta anni, così come Linea Blu, Verde e Bianca».
Diversi, intanto, i giornalisti che hanno criticato Meloni per essere in contrasto con alcune emittenti.
«È lecito essere in disaccordo con un certo modo di fare informazione. È sbagliato, però, sostenere che la premier ce l’abbia con determinate emittenti. Non ne ha bisogno, considerando i risultati che sta dimostrando sul piano internazionale. Queste elezioni, poi, hanno un’importanza assoluta per l’Europa: nasce oppure si scioglie completamente?».
Non c’è stato, dunque, nessun abuso per accaparrarsi degli spazi, come sostiene una certa sinistra?
«Non sono d’accordo con tali accuse. È una cosa che hanno fatto tutti. Il problema è un altro».
Quale?
«Il finanziamento della politica. Hanno voluto abolire quello pubblico. Questa è una delle conseguenze. Se tutto è segnato, non avremmo avuto casi come quello di Genova. La domanda, che tutti dovremmo porci, è: chi paga la politica? Vogliamo pensare che ognuno metta dieci euro. Nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti si spendono centinaia di milioni di dollari, pur essendo la madre di tutte le democrazie. Occorrono, dunque, quanto prima regole chiare».
Che idea si è fatto, invece, rispetto al mancato duello Schlein-Meloni?
«La sfida a due non ha tanto senso. Si vota in modo proporzionale. Non ci sono due schieramenti, uno di destra e l’altro di sinistra. Ognuno corre per sé. Non è un caso che l’Agcom lo abbia vietato. Gli altri non hanno gli stessi diritti?».
Un’ultima proposta, intanto, è arrivata da Mentana su un possibile confronto...
«Mentana è un giornalista credibile, leale, che merita rispetto per il suo equilibrio. Detto ciò, non c’era da fare Berlusconi contro Occhetto. Non c’erano due schieramenti bipolari. La verità è un'altra: siamo in un’elezione proporzionale, dove ogni partito deve cercare di dare il massimo per poi, quando farà le alleanze, avere una posizione di forza rispetto agli altri. Che interesse, poi, ha un presidente del Consiglio a confrontarsi con l’ultimo leader?».
Si vocifera, intanto, di un’intesa televisiva tra FdI e Conte?
«Non l’ho vista da nessuna parte. Non tutto quello che si scrive sui giornali corrisponde al vero».