Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Chico Forti, la criminologa Bruzzone e la tesi dell'innocenza: “L'accusa non aveva nessuna prova”

Rita Cavallaro
  • a
  • a
  • a

«Sono felice che Chico Forti sia rientrato in Italia, meritava questa opportunità. Finalmente il risultato è arrivato e mi auguro che la sua vita possa migliorare. Essere detenuto nel nostro Paese sarà molto diverso che stare in una prigione degli Stati Uniti. Potrà indossare abiti normali. Non è più un numero o una matricola, ma è un uomo». C'è soddisfazione nelle parole di Roberta Bruzzone. D’altronde, la criminologa ha avuto un ruolo importante nella vicenda di Chico Forti, condannato nel 2000 all’ergastolo senza possibilità di condizionale per l’omicidio di Dale Pike, ucciso il 15 febbraio 1998. Quando tutti gli appelli furono respinti, la famiglia tentò di far riaprire il caso. Il compianto giudice Ferdinando Imposimato studiò le carte e la criminologa Bruzzone fece una consulenza tecnica, in cui inserì decine di allegati originali, per sostenere gli errori investigativi e giudiziari e fornire un «parere pro veritate» in favore di Forti. La sua consulenza fu consegnata al governo italiano, per dimostrare che Chico non aveva avuto un giusto processo e spingere l’esecutivo a trovare un accordo con gli Usa sulla Convenzione di Strasburgo. Era il 2012.

 



Bruzzone, lei ha analizzato i documenti e studiato la scena del crimine. Quali sono le criticità del processo?
«Le prove che "inchiodano” Forti sono alquanto labili. Innanzitutto l’arma del delitto mai ritrovata, una pistola calibro 22, che appartiene sulla carta a Chico. In realtà è sempre stata nella disponibilità di Thomas Knott, un truffatore tedesco sotto le mentite spoglie di un maestro di tennis, che viveva nel palazzo di Forti. Knott aveva scelto la pistola in un negozio e, non avendo con sé il denaro, aveva chiesto a Chico di pagarla».

L’accusa collega Chico alla scena del crimine perché, disseminati accanto al corpo sulla spiaggia, c’erano alcuni reperti, tra cui una scheda telefonica.
«Dall’analisi di quella scheda si scopre che le ultime chiamate, nel pomeriggio del 15 febbraio, erano state fatte al cellulare di Forti, ma a tempo zero di conversazione. Le chiamate sono state fatte tra le 17.13 e le 17.18, un arco di tempo in cui Dale non era ancora stato sdoganato, visto che il suo aereo aveva un’ora ritardo. Quel tipo di scheda, inoltre, viene venduta solo fuori dalla dogana. Facile supporre che sia stata messa ad hoc accanto al cadavere da qualcuno che sapeva dell’appuntamento in aeroporto tra Dale e Chico. Questo qualcuno è Thomas Knott».

E la sabbia trovata nel gancio di traino dell'auto di Chico?
«Una prova inconsistente. Il dottor Wanless non fu in grado di dire quando la sabbia si fosse depositata nel tubo del gancio di traino, né se provenisse con certezza dalla spiaggia dove fu rinvenuto il cadavere».

 



Quindi cosa aveva l’accusa contro Forti?
«Niente di niente. Nessun testimone, zero impronte, test del dna negativo, nessuna arma del delitto e nessun valido movente».

Il movente non è la truffa sull’hotel?
«Un’accusa dalla quale la giudice Victoria Platzer ha assolto Forti in istruttoria, fatto importantissimo perché avrebbe tolto ogni base motivazionale all'ipotesi del movente. Ma la stessa giudice ha ammesso la frode come movente e impedito che la giuria venisse informata che Chico era già stato prosciolto. Insomma, una farsa».

 

Dai blog