joe tacopina
Chico Forti, la certezza dell’avvocato Tacopina: “Il merito è tutto di Meloni. Mai parlato con Draghi”
«Chiunque cerchi di minimizzare il lavoro della premier Giorgia Meloni parla a sproposito e non gli si può dare credito. A parlare sono i fatti. E dicono che qualsiasi cosa sia stato iniziata dai governi precedenti, purtroppo, è sempre stata solo un inizio e non ha mai avuto una fine. La verità è che la presidente Meloni si è spesa in maniera impeccabile a livello diplomatico». Parla in esclusiva a Il Tempo Joe Tacopina, l’avvocato italo-americano di Chico Forti e tra i principali artefici del ritorno del produttore tv a casa.
Tacopina, lei che conosce tutti i segreti delle trattative su Forti, sta dicendo che il merito dell’accordo è esclusivamente di questo governo o frutto anche dell’impegno degli esecutivi precedenti?
«Le pratiche legali le ho sempre trattate io personalmente qui negli Stati Uniti e ho incontrato più volte i governi precedenti, anche Luigi Di Maio. Non voglio criticare però l’interesse della premier Meloni è stato fondamentale. Lei ha fatto incontri faccia a faccia con i politici e questo ha fatto la differenza. Con il governatore Ron DeSantis, con il presidente Joe Biden, si è spesa personalmente e ha comunicato in maniera forte e costante, mantenendo un livello diplomatico impeccabile».
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Crede che questo successo dimostri una forza diplomatica del governo a livello internazionale? Come viene vista l’Italia da Washington?
«Assolutamente. Gli Stati Uniti hanno accettato le condizioni del trasferimento solo perché l’Italia ha avuto un grande potere a livello diplomatico, politico e soprattutto una grande credibilità internazionale. Se l’Italia con la premier Meloni non avesse avuto questa credibilità, sicuramente il governo americano non avrebbe firmato, come è successo d’altronde in passato, quando questa credibilità l’Italia non l’aveva».
Ma come, lei mi sta dicendo che un premier come Mario Draghi non aveva forza a livello internazionale o che non si è mai speso abbastanza?
«A noi, a livello legale, interessa aver portato il risultato a casa. All’inizio le carte per il trasferimento sono state preparate congiuntamente dal mio studio con il primo governo che se n’è interessato, ma io non ho mai parlato direttamente con Draghi, mi sono sempre interfacciato con Di Maio. Non voglio che questa diventi una battaglia politica, ma il risultato e l’accelerazione è arrivato grazie alla marcia in più della presidente Meloni. Abbiamo ottenuto tutto quello che volevamo. E solo con l’attuale governo italiano, non con gli altri precedenti».
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Entriamo nel caso. Qual era il problema che impediva agli Usa di concedere questo trasferimento?
«Quando ho iniziato a occuparmi del caso, nel 2014, abbiamo valutato con Chico e la sua famiglia la possibilità di usufruire della Convenzione di Strasburgo. Ma ci sono due fatti fondamentali da prendere in considerazione. Secondo il trattato, la famiglia della vittima e il governo devono essere d’accordo. Questo è fondamentale. La famiglia della vittima, nella persona di Bradley Pike, il fratello di Dale, ha mandato una lettera con cui chiedeva al governo americano di rilasciare Forti, convinto dell’innocenza di Chico. Il governo americano, dopo aver ricevuto le rassicurazioni diplomatiche dal governo italiano che Forti avrebbe finito di scontare la pena in Italia, ha accettato il trasferimento perché crede in questo governo. Inoltre sia gli Usa che l’Italia conoscono i fatti che riguardano questo caso, conoscono la sentenza della condanna di Chico. E hanno considerato che ha già scontato 24 anni di detenzione qui negli Stati Uniti, per cospirazione in omicidio e non perché era l’esecutore materiale. Insomma, una serie di tasselli che si sono messi al posto giusto nella decisione finale del suo trasferimento».