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Nucleare, il piano del guru Buono: “Io, Macron e il mini nucleare. Così daremo la luce a Roma con le scorie”

Alessio Gallicola
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Un posto a tavola al fianco di Brigitte, coniugata Macron, la first lady di Francia, e di fronte all’inquilino dell’Eliseo. Il destinatario è Stefano Buono, classe 1966, una laurea in fisica, già assistente del premio Nobel Carlo Rubbia al Cern di Ginevra. L’occasione è il summit «Choose France», organizzato dal premier francese un anno fa a Versailles per convincere gli investitori esteri a scegliere la Francia. Lì, in quel momento, capisce di essere molto vicino all’obiettivo. E quando è ad un passo dal traguardo, Buono non è tipo da tirarsi indietro. Lo aveva già dimostrato nel 2018, concludendo uno dei deal più importanti nella storia dell’imprenditoria italiana grazie alla vendita dell’azienda che aveva fondato, la AAA, alla Novartis per 3,9 miliardi di dollari. E va a segno anche stavolta, convincendo Macron di essere l’uomo giusto per il nucleare di ultima generazione. Grazie ad una tecnologia fortemente innovativa e ad un investimento di tre miliardi entro il 2030, col quale la Newcleo, società con sede a Torino di cui Buono è presidente e ceo, costruirà Oltralpe una fabbrica di combustibile MOX e il primo reattore dimostrativo da 30MWe.

Bel colpo, Buono, come ha fatto?
«Il Presidente Macron ha deciso di ravvivare il nucleare in Francia, rendendosi conto di quanto sia uno strumento di indipendenza strategica e di competitività per il suo Paese. Ci siamo incontrati varie volte durante gli ultimi anni, da quando abbiamo ottenuto un importante finanziamento pubblico che ci ha permesso di entrare tra le aziende di riferimento per il rilancio nucleare della Francia. Poi seguirà anche il primo reattore commerciale da 200MWe».

E l’Italia? Sta costruendo un asse con la Francia sul nucleare?
«La Francia è un punto di riferimento globale sul nucleare e in quanto tale ha rapporti e relazioni con numerosi paesi. In Europa il dialogo con la Francia e il suo ecosistema nucleare è imprescindibile per qualunque paese si affacci alla tecnologia. Noi naturalmente caldeggiamo ogni interazione tra Italia e Francia che possa portare ad un maggiore sviluppo dell’industria manifatturiera italiana. La Francia deve passare da 220 a 320 mila addetti entro il 2030, questa crescita mostra le ambizioni del programma francese, ma richiederà anche una forte collaborazione dell’industria nucleare europea e noi vogliamo che l’Italia contribuisca in modo fondamentale, dato il suo potenziale e le sue competenze».

Il potenziale, appunto. Qual è la condizione del nostro Paese dal punto di vista della ricerca e degli investimenti?
«Le recenti dichiarazioni del ministro Pichetto Fratin al G7 di Torino sembrano un’apertura di credito importante. La posizione del Ministro è incoraggiante e segue un dialogo tra istituzioni e aziende che dura già da qualche tempo. In Italia, infatti, sono rimaste forti competenze nell’industria nucleare anche dopo la chiusura dell’ultima centrale nel 1990. Molte aziende hanno continuato a far parte della supply chain globale e gli atenei hanno continuato i programmi di ricerca. Noi siamo arrivati nel 2021, porENEA, che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello del programma nucleare italiano. Noi abbiamo raccolto 400 milioni di euro per lo più tra capitale di origine italiana. L’appetito per gli investimenti c’è e lo stiamo vedendo anche col nostro aumento di capitale ancora in corso al momento».

Secondo lei è replicabile il sistema francese del credito d’imposta sugli investimenti?
«Parlo spesso del sistema del credito d’imposta francese come elemento virtuoso della capacità del loro paese di attirare investimenti in ricerca e sviluppo per tecnologie innovative. L’ho usato con precedenti imprese e anche con Newcleo continuiamo a usarlo. Il sistema non è particolarmente complesso e probabilmente sarebbe replicabile ovunque, posto che ci sia la volontà politica di farlo».

Da un punto di vista tecnico, Newcleo propone reattori che costano fino a trenta volte di meno e usano come combustibile scarti di altri reattori. Questa tecnologia può davvero essere la svolta?
«Noi faremo reattori con una tecnologia nuova e diversa da quella dei reattori tradizionali raffreddati ad acqua. I nostri reattori saranno raffreddati col piombo, un materiale che offre sia soluzioni di sicurezza passiva, sia la possibilità di usare molto efficientemente il combustibile nucleare. Lo faremo prendendo le scorie generate dalle centrali esistenti e riprocessandole per produrre nuovo combustibile. Questo ci permetterà di far funzionare i nostri reattori senza necessità di estrarre nuovo uranio dalla terra, ma anche di ridurre significativamente il volume delle scorie nucleari esistenti in quei paesi che già utilizzano il nucleare».

Perché parla di fattore 30?
«Il fattore 30 è anche dovuto alla taglia: a parità di energia prodotta potremmo dire invece la metà. Ma la taglia dell'investimento per renderlo produttivo è importante, e soprattutto sarà importante la velocità di realizzazione, che è la più significativa opportunità finanziaria dei piccoli reattori nucleari».

In una recente intervista faceva un interessante esempio su quante scorie si genererebbero alimentando una città come Roma con il nucleare.
«Sì, è un esempio che mi piace fare perché rende bene l’idea di quanto diventerà irrilevante il problema delle scorie con la nostra tecnologia: saremo in grado di soddisfare il fabbisogno di elettricità di una città come Roma producendo meno di un metro cubo di scorie in un anno, e soprattutto in maniera totalmente sicura, decarbonizzata e sostenibile».

Nei suoi progetti figura il collocamento in Borsa. Qual è il suo obiettivo per il futuro dell’azienda?
«Non faccio segreto che il futuro dell’azienda è con tutta probabilità in Borsa ed è per questo che già operiamo con molti dei sistemi di controllo delle aziende quotate, così da rendere una quotazione in borsa più semplice in futuro. La Borsa potrebbe garantire la perennità del modello di business di Newcleo».

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