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Toti, l'intervista a Liguori: “Giovanni è un uomo che produce fatti. Finanziamenti leciti”

Aldo Torchiaro
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Paolo Liguori, direttore editoriale delle News Mediaset, è l’uomo che ha scoperto e lanciato Giovanni Toti. Ripercorre con noi la sua storia e adombra qualche sospetto sull’operazione a orologeria della magistratura.

Come è nato il Toti giornalista?
«Me lo presentarono quando si era laureato da poco. Vidi subito un ragazzo brillante, con una competenza notevole sulla politica. Diventa velocemente caporedattore e poi vicedirettore, andando a lavorare sotto Mauro Crippa».

E Toti inizia a occuparsi di comunicazione per Silvio Berlusconi...
«Fu individuato da me, Crippa e Fedele Confalonieri come uomo che poteva lavorare bene con Berlusconi. Si è distaccato dalle news Mediaset e a Berlusconi piaceva molto. Era efficiente. Poi tornò in azienda e assunse il duplice ruolo di direttore del Tg4 e di Studio Aperto insieme».

 



Quando fa il salto in politica?
«Con l’occasione delle Europee, si candidò e venne eletto con Forza Italia. Poco dopo ci furono le regionali in Liguria e si dimise dal Parlamento europeo, vincendo le elezioni e portando per la prima volta quella regione tradizionalmente rossa sotto le insegne del centrodestra».

Un governatore iperattivo, a quanto dicono.
«Chi abita in Liguria lo sa e glielo riconosce. Grandi opere, infrastrutture, manutenzioni segnano un governo del fare: progetti che svecchiano una regione ingrigita prematuramente. Forse proprio perché ha il senso della notizia, sa che deve produrre fatti. Come la variante di valico, la Gronda, lo scolmatore, la diga foranea. E ha affrontato la tragedia del ponte Morandi con il varo del "modello Genova"».

Come mai lo colpiscono oggi?
«L’iniziativa dei magistrati è vergognosa. E qui parlo da giornalista garantista, avendo visto l’ordinanza: l’elenco degli imputati riguarda dieci filoni insieme, molti dei quali non riguardano assolutamente Toti. Le cose che lo riguardano attengono a una serie di finanziamenti del Comitato per la lista Giovanni Toti che sono assolutamente leciti. Tra cui amici, colleghi giornalisti...».

 



Come il caso Open?
«In qualche modo sì, i due casi si somigliano. Una attività terribile da farsi a trenta giorni dal voto, micidiale quando si fa su reati potenziali, non provati, risalenti a quattro anni fa. Un’attività che serve solo a fare titoli e a malfamare i nomi che ci sono dentro. Qual era, proprio oggi, il rischio di reiterazione del reato? O c’era pericolo di fuga all’estero del governatore? L’arresto non poteva e non doveva scattare».

Quello che i magistrati insinuano è che quei finanziamenti sono serviti per fare dei favori.
«Ma è chiaro che è una incriminazione politica. Che proviene dalla Dda».

Cosa vuole dire?
«Noi stiamo facendo questa intervista alle 16,30 perché da direttore di testata ho trovato il sistema di avere le carte e di leggerle tutte. Gli avvocati invece aspettano ancora di averle. E se avessi avuto contatti con qualche sottufficiale della Guardia di Finanza tipo Striano l’avrei avuta anche prima. Ieri. Prima dell’arresto. Questo atteggiamento della magistratura, l’uso strumentale delle ordinanze, l’uso politico della giustizia non è mai finito ma continua. Così come l’errore giudiziario, che in questo caso c’è. Ma sperano che quando sarà dimostrato, Toti non sarà più al suo posto».

L’arresto di Toti punta ad affondare lui o a colpire tutto il centrodestra?
«Tutto il centrodestra. Il ministro della Giustizia dovrebbe immaginare che questo tipo di azioni sono risposte alle sue iniziative di riforma. Domani ci sarà il congresso Anm. Questo provvedimento giaceva in qualche cassetto da tempo, hanno deciso che i titoli sui giornali servivano oggi».

 

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