pluralismo sindacale

Rai, Minoli e lo sciopero flop: “È caduto un muro, il sindacato di sinistra ora non domina più”

Edoardo Sirignano

«Mi sembra normale dialettica. Quell’Usigrai, che era abituata a dominare, adesso non lo fa più. Come ci sono la Cgil, la Cisl e la Uil, è forse un bene che ci sia un pluralismo sindacale anche in Rai. Se vogliamo sostenere qualcosa di incredibile, diciamo che cade un muro». Nel giorno dello sciopero flop nella tv pubblica, parla Giovanni Minoli, il padre delle interviste, cacciato tante volte dalla Rai pur avendo ideato format che hanno fatto la storia della tv: Mixer, un Posto al Sole, solo per citarne qualcuno.

Che idea si è fatto rispetto al dibattito in corso?
«Quando una cosa che è monopolista diventa duopolista c’è, senza ombra di dubbio, un cambiamento».

 

 

Qualcuno, intanto, continua a parlare di TeleMeloni...
«Mi sono già pronunciato molteplici volte sul tema. È sempre tele di chi comanda. Lo è da quando è nata la Rai. Una volta è TeleDc, un’altra è TeleSinistra. Oggi è TeleMeloni. È la legge a lottizzare la Rai. Altro discorso è chiedersi quale è il livello della professionalità dei nominati».

A suo parere alto o basso?
«Non ho l’impressione che si tenga molto conto dei curricula. Si chiedono, ma sappiamo tutti che le scelte sono figlie di una trattativa politica. È normale, dunque, che prevale l’interesse dei partiti rispetto alla qualità delle candidature. Da sempre è così».

Perché nessuno parla di qualità dei palinsesti, mentre si fa tanto rumore sul monologo di Scurati?
«Siamo alle comiche. Tanto rumore per un programma che fa il tre per cento. Se fosse dipeso da me, l’avrei mandato come sigla, come intermezzo e sigla di coda. Mi è sembrata una questione di lana caprina. Ognuno, poi, ci gioca sopra come vuole e soprattutto il protagonista ne trae un vantaggio, sia in termini di pubblicità che forse di vendita dei libri. Perfino Corrado Augias ha affermato che nella televisione democristiana una cosa del genere non sarebbe mai capitata».

 



Che idea si è fatto rispetto a questa diceria per cui sarebbe in corso una fuga dalla Rai?
«Secondo tale tesi tutti i giocatori che cambiano casacca sarebbero fuggitivi, lo stesso Dybala che dalla Juventus è passato alla Roma. Non mi risulta, però, che nessuno abbia mai messo Fabio Fazio in condizione di andarsene. Al contrario, mi risulta che avesse firmato un contratto diversi mesi prima dell’annuncio».

Perché allora tale scelta?
«Ha deciso di cambiare perché aveva voglia di fare una nuova esperienza. Stesso discorso vale per Bianca Berlinguer o Myrta Merlino. Discorso differente, al contrario, quello relativo a Lucia Annunziata. Mi ha sorpreso perché la ritenevo una donna di parola. Aveva detto vado via perché non mi sento bene, così come che non si sarebbe candidata mai alle europee. E infatti non si è candidata, ma l’hanno candidata. Facciamo un po' di ironia, che fa bene alla salute di tutti».

La stessa satira, però, non si può fare come un tempo. Non sono mancate le polemiche, ad esempio, rispetto alla vignetta in cui Schlein veniva paragonata all’uomo di Neanderthal.
«È scoppiato il patatrac perché i giornali non sanno cosa scrivere. Si costruisce un evento sul nulla. La ragione per cui i quotidiani non vendono è legata al fatto che troppo spesso parlano di questioni che interessano poco alla gente comune e tanto al circuito del palazzo. Lo stesso accade in tv».

Cosa si potrebbe fare per rendere più attrattiva la Rai?
«Quando me lo chiederanno ufficialmente, lo dirò. Ho già dato troppe idee in tutti questi anni e fatto cento programmi. Mi sembra che bastino. La Rai deve essere pensata per la crescita intellettuale, morale e culturale dei cittadini. La televisione commerciale, invece, deve occuparsi prevalentemente del mercato. Una cosa è il cittadino, altro è il consumatore».