intervista
Marco Tarquinio: "La sinistra trovi una sintesi. Schlein faccia come Meloni"
«Il centrosinistra se vuole avere un futuro deve fare sintesi, Schlein faccia come Meloni. Il punto di convergenza si chiama pace. Il Pd cambi idea sulle armi». A dirlo Marco Tarquinio, ex direttore dell’Avvenire e candidato da indipendente del Pd nella circoscrizione del Centro Italia.
Quali le ragioni della sua discesa in campo?
«I pezzi di una terza guerra mondiale, come ammonisce Papa Francesco, si stanno saldando. Se il centrosinistra non si pone la questione della pace, tradisce il suo Dna, la lezione di Moro e Berlinguer».
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La sua posizione simile a quella di Conte...
«Tra le cinque proposte che mi sono arrivate ho scelto quella del Pd perché al suo interno c’è un pezzo della mia storia. Mi riferisco al solidarismo figlio della dottrina sociale della Chiesa e a quello di matrice socialista. Proprio le due grandi famiglie che hanno costruito l’Europa».
A proposito di 5 Stelle, dopo le europee possibile ancora un’intesa?
«Il M5S ha una natura complessa. Ha le sue parole d’ordine, le sue priorità. È sotto gli occhi di tutti, però, che l’unità nella diversità è la condizione per costruire un bipolarismo equilibrato e utile. Il Paese ha bisogno di un’alternativa seria e limpida alla proposta dal centrodestra. Bisogna, pertanto, sapersi ascoltare e incrociare le storie per tornare a essere protagonisti».
Un pontiere, in tal senso, è Bettini...
«C’è bisogno di pontieri come lui, uomo di grande sensibilità politica o come tutti gli altri che si adoperano in tal senso, pur appartenendo a formazioni diverse. Stiamo rischiando, nella dialettica parlamentare, di andare avanti a colpi di maggioranza e contrapposizioni radicali, perfino sulle regole che riguardano la vita di tutti».
Rispetto al Pd, qualcuno l’accusa di essere troppo a sinistra...
«Il Pd di Schlein sta definendo impegni che ne spieghino la natura. Non è un caso che la domanda di sicurezza sociale e sanitaria sia quella più lancinante tra gli italiani. È certo un tema di sinistra, ma parla a tutti. Ed è la via maestra di un solidarismo, che abbraccia la sinistra e tanta parte della società».
Non ha paura di confrontarsi con recordman di preferenze come Zingaretti, Nardella e Ricci?
«Sono un giornalista che dopo 44 anni di lavoro decide di spendersi nell’agone politico, portando le sue idee. Trenta anni fa ero a capo della redazione politica del Tempo... Riguardo alle preferenze, mi interessa il dialogo con gli elettori e le elettrici, non la gara! Stavolta decidono gli elettori e non ci sono posti garantiti. Da indipendente, legato a Demos, voglio solo far sentire nel Pd e a Strasburgo, se sarò eletto, la voce del popolo della pace, fatto da gente che lavora ed è preoccupata per il futuro dei propri figli. Non possiamo più voltarci dall’altra parte e far finta che la guerra per procura russo-ucraina (e ovunque si combatta) non ci riguardi più pesantemente».
Il centro, intanto, sembra essere prerogativa di Renzi e Calenda...
«Rispetto tutti, ma so che il centro è un campo ingombro dalle macerie dei partiti post-democristiani, a causa di tanti protagonismi e presunzioni che non sfociano mai in qualcosa di unitario, convincente e vincente. Credo occorra un bipolarismo diverso da quello del passato. In tal senso, spero, che Meloni faccia la sua parte, ma conto moltissimo su Schlein. Fanno caricature sul suo discorso, ma parla a tanti e ai più giovani. Mi auguro riesca a delineare una sinistra che, essendo se stessa, fa battere il cuore del Paese. Un discorso, d’altronde, simile e opposto a quello che da mesi sta facendo la premier, alla testa del suo destra-centro. È importante che ci sia una sinistra che si occupa dei poveri e degli impoveriti e sostiene le energie buone della nostra società, indicando una prospettiva interessante per quelli che non sono di sinistra».
Cosa intende?
«Non credo agli accrocchi riformisti di occasione per raggiugere le diverse soglie di sbarramento. La politica, a mio parere, è un’elaborazione culturale che deve tradursi in progetti di legge e azioni concrete. C’è stata una stagione in cui era la normalità, poi è venuto il leaderismo parolaio, padre delle risse e del caos».