intervista al generale
Israele, il generale Tricarico: "Aria da resa dei conti, il governo di Netanyahu può cambiare"
«È l’ennesimo tentativo e siamo tutti con le dita incrociate. Ma alcune dichiarazioni fanno ritenere che questa possa essere la volta buona. Anche il nostro ministro degli Esteri si è espresso con fiducia su un’aspettativa positiva. Certo una tregua apre a interrogativi». È il commento del generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, sull’ipotesi di una tregua nel conflitto in Medio Oriente.
Ha parlato di interrogativi. Quali?
«Il primo riguarda la parte radicale del governo di Netanyahu, in particolare due Ministri: Ben-Gvir e Smotrich che, in base alle loro dichiarazioni, forse non tollererebbero una tregua e uscirebbero dal governo. Quanto saranno coerenti con le loro stesse dichiarazioni o se non siano una boutade, come spesso succede loro, si vedrà. Si tratta di vedere come reagirà l’ultra-destra e se appoggerà il governo».
Ottobre 2023 La data dell’attacco di Hamas nel territorio di Israele culminato con un massacro di civili L’accordo su cui si tra trattando è un buon accordo?
«Lo è per Israele e per tutta la comunità internazionale. Ricordiamo che in passato Israele, per un singolo soldato di leva, liberò oltre mille palestinesi. In questo caso la proporzionalità non è una misura applicabile uno a uno o in base ad altro indicatore. Vi è da ritenere che le richieste di rilascio dei palestinesi siano consistenti, ma Israele non dovrebbe avere difficoltà a cedere centinaia di detenuti in cambio degli ostaggi ancora vivi».
Sono vivi gli ostaggi?
«Le voci sono tante ma non si sa chili tiene in ostaggio.
Non è detto che siano tutti in mano ad Hamas, che non si sa se può negoziare a nome di altri. Gli ostaggi sono l’assicurazione sulla vita per Hamas, perché una volta che non li avrà più in mano le attività belliche potrebbero riprendere in modo meno accurato nel colpire obiettivi da parte di Israele, come verosimilmente può essere già successo».
E poi c’è Netanyahu...
«Anche per lui la tregua o la cessazione delle ostilità significherebbe la resa dei conti. Dovrà affrontare indagini accurate e serie. Da troppe parti si dice che lui sapeva del 7 ottobre, ma bisogna capire che cosa e in che termini. Secondo alcune fonti ci sarebbero documenti scritti e report arrivati a lui. Sarà interessante capire cosa è successo e come mai i segnali di allerta sono stati ignorati. E poi c’è la parte che lo riguarda privatamente e i conti aperti con la giustizia. La cessazione delle ostilità per Netanyahu significa fare i conti con il suo pubblico e privato».
Ritiene verosimile una frattura all’interno di Hamas tra chi si trova a Gaza e chi invece sta in Qatar?
«Sì, perché è chiara l’influenza del Qatar su chi sta sul suo territorio, a partire dai vertici. Ma questa cinghia di trasmissione con i territori non funziona. È possibile che non vengano recepite a pieno le indicazioni di Hamas in Qatar da Hamas sul terreno. La frattura è verosimile, ma se cosi fosse Hamas sarebbe ingovernabile e le cose si complicherebbero ulteriormente».
Quali scenari vede dopo il cessate il fuoco?
«Auspico che a Riad, dove c’è Blinken e altri ministri degli Esteri di Paesi che svolgono un ruolo in questa vicenda, si possa già cominciare a discutere del dopo conflitto, tenendo conto delle esigenze di ognuno. Credo ci sarà un governatorato Onu oppure una coalizione di volenterosi, che possa creare una forza multinazionale ad hoc che vigili sulla ricostruzione e su una nuova struttura statuale. Una transizione che possa contemplare la garanzia internazionale di una coalizione vasta di Paesi che non si sono schierati apertamente né con uno né con l’altro. Paesi garanti per ricostruzione e costruzione statuale di una Palestina nuova».