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25 aprile, la linea di Giordano Bruno Guerri: “Antifascismo? Oggi una spilla da indossare”

Antonio Siberia
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L’Italia è il Paese della toponomastica e degli anniversari. Partiamo da una data: il 25 aprile che oggi si celebra in Italia, come ogni anno. Su questa data e su molto altro abbiamo intervistato Giordano Bruno Guerri, storico, saggista, giornalista, presidente del Vittoriale degli Italiani, la casa di Gabriele D’Annunzio a Gardone.

Cosa significa per lei il 25 aprile?
«È un giorno importante, storico, è la festa della Liberazione e significa prima di tutto la fine della guerra. Poi la fine del fascismo e l’inizio di un’altra guerra, fra gli antifascisti e i presunti fascisti. Resta comunque una giornata da festeggiare».

Ha ancora senso che oggi la Liberazione sia vissuta come divisiva?
«Le polemiche sull’antifascismo sono state originate da Palmiro Togliatti con la sua legge sull’amnistia verso i fascisti nel secondo dopoguerra. Per non creare problemi Togliatti fece questa scelta, altrimenti in Italia avrebbero dovuto processare milioni di italiani. Da lì è rimasta l’idea che gli italiani fossero ancora fascisti ma gli italiani son bravi a cambiare e soprattutto non sopportavano più il fascismo dopo cinque anni di guerra».

Con i buoni sempre separati dai cattivi non vede il rischio che il 25 aprile perda quella chiave di conciliazione che nel 2009 le aveva dato Silvio Berlusconi con il suo discorso di Onna?
«Questa divisione, questa frattura nasce dalla pretesa di volere che qualcuno dica: "Sono antifascista". Ma se uno si comporta in modo democratico e liberale c’è bisogno che si dica antifascista? Mi sembra che le leggi e le norme della Costituzione siano state sempre rispettate da De Gasperi in avanti. E tracce di fascismo nelle Istituzioni della Repubblica italiana non le ho mai viste, perciò si tratta di un finto bersaglio».

 



Non sarà che la sinistra, senza l’antifascismo, oggi perderebbe l’unica identità che le è rimasta?
«Non è l’unica identità che le è rimasta perché ha, ad esempio, un’apertura sociale in certe cose che io apprezzo. Certo, resta questo fare dell’antifascismo una bandiera, una roccaforte, direi una cimice. Una spilla che bisogna indossare ed esibire altrimenti scoppiano le critiche».

A proposito di identità. Lei è alla guida del Vittoriale dannunziano da un po’ di anni. In Italia D’Annunzio è stato censurato dal 1945 in avanti, nel senso che lo hanno etichettato come fascista. Non è stata questa una forma banale di bavaglio a uno dei più grandi scrittori europei del Novecento?
«Si, però la colpa non è stata tanto degli antifascisti quanti dei fascisti. Con il fascismo regnante il regime si è impossessato di D’Annunzio e dei suoi miti, dal balcone all’oratoria, ne ha fatto un uomo suo. D’Annunzio non era fascista, non si è mai dichiarato fascista, non ha firmato il manifesto degli intellettuali fascisti, parlava male di Benito Mussolini ma ha accettato questa condizione perché lo adulavano. Ha poi avuto la fortuna di morire nel marzo del 1938. Dico fortuna perché non avrebbe mai accettato le leggi razziali, il Patto d’acciaio, la guerra contro Francia e Inghilterra. Si dice che la storia la fanno i vincitori ma accade che passi a volte la versione dei vinti. La repubblica antifascista democratica italiana su D’Annunzio ha creduto alla narrazione dei fascisti. E pensare che il fascismo da D’Annunzio ha preso molto tranne la Carta libertaria e avanzata del Carnaro. Gli storici come Renzo De Felice lo scrivevano anche negli anni Settanta ma questo non è mai arrivato al popolo. A informare il popolo c’ho pensato io, con convegni, interviste, film, documentari».

 



Tre date: 25 luglio, 8 settembre e 25 aprile. Secondo lei quale è stata la più determinante per l’Italia odierna e democratica?
«Simbolicamente il più forte è il 25 aprile ma è una data simbolo, perché è la conseguenza di quello che è arrivato negli anni precedenti e anche dall’estero visto che la guerra l’hanno vinta gli angloamericani. L’8 settembre è una data sciagurata: il fallimento delle Istituzioni che avevano fatto l’Unità di Italia e retto il paese per decenni. Paradossalmente direi che la data fondamentale è il 25 luglio perché lì accaddero due cose: la classe dirigente fascista si rivoltò contro il suo capo e le Istituzioni in quell’occasione fecero il loro lavoro che poi smisero subito dopo di fare. Se non ci fosse stata la guerra il 25 luglio l’Italia avrebbe virato verso una forma di fascismo molto più soft e aperto, con Grandi e Bottai».

È vero che debutterà come attore al cinema, in un film su Eleonora Duse?
«Sì. Pietro Marcello sarà il regista e Valeria Bruni Tedeschi interpreterà Eleonora Duse».

Lei sarà D’Annunzio?
«Ahimè no. Sarò il segretario-confidente di D’Annunzio, che lo protegge dalla vita e da sé stesso. E pure dalla Duse, che vorrebbe tornare con lui».

 

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