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Kate Middleton la principessa del popolo: così cancella ipotesi fantascientifiche

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Francesca Albergotti
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L’eco terrificante degli spari e delle granate lanciate nel teatro a Mosca si mischiano in queste ore all’annuncio ufficiale della principessa Kate che dopo mesi di congetture, ipotesi complottistiche di ogni genere immaginabile fino a diventare fantascientifiche per andare a nutrire la macelleria sociale animata da barbari assetati di gossip ha finalmente rivelato al mondo la verità. È una verità dura e cruda, purtroppo la stessa di fronte alla quale molti di noi si sono trovati e che niente ha a che vedere con l’incanto che fino a ora, almeno apparentemente, ha pervaso la vita di questa ragazza dal nome banale e natali borghesi scelta per diventare la prossima Regina del regno Unito: Queen Kate the first. Da una panchina di legno scolorito dalle piogge inglesi e con lo sfondo pieno di speranza primaverile degli alberi in fiore Katherine è stata costretta a confessare al mondo di avere un cancro. E spiegare, quasi a giustificarsi, di averlo tenuto nascosto nel vano seppur perdonabile tentativo di proteggere i suoi figli e il loro diritto di non scoprire la malattia della mamma da un compagno di banco pettegolo o peggio da un articolo on line.

 

 

Certo, se negli ultimi mesi uno dei principini per combinazione si fosse trovato fra le mani un qualsiasi giornale avrebbe potuto leggere di ben peggio, comunque sia ora é finita e possiamo metterci tutti il cuore in pace: niente corna o percosse, sparizioni a mano di extraterrestri e depressioni con fantasie suicidarie, è solo un normale cancro. Pirandello scriveva che”«la realtà, a differenza della fantasia non si deve preoccupare di essere verosimile perché è vera». E nulla come la storia della monarchia britannica e dei suoi attori riesce ad esser pop come una telenovela sudamericana mischiando sfarzo, tradizione, riti e bassezze umane, come fosse stata scritta dal più strepitoso e talentuoso degli sceneggiatori. Gli archetipi, le forme primordiali dell’esperienza umana per Carl Gustav Jung ci sono tutti: il saggio e il sovrano si incarnano in Elisabeth, l’iconica regina amata testimone di un mondo in cui «la forma è sostanza» pronta a sacrificarsi animata dal bisogno di controllare e mettere in ordine ogni aspetto della realtà; c’è Charles, l’orfano, e il creatore, nuovo ma già vecchio re incompreso e vittima della necessità da sempre frustrata di esprimere creatività e trasformare e rinnovare le cose; il ribelle è Harry che vuole sconvolgere l’ordine e andare controcorrente, il giullare è Andrew, lo sporcaccione che si diverte e ama la vita, Camilla l’amante, Diana l’innocente poi trasformatasi in «angelo custode» grazie alla sua disgraziata morte spettacolare a seguito di una vita infelice, e da oggi c’è l'archetipo dell’eroe: Katherine Middleton principessa del Galles.

 

 

Per Jung l’archetipo dell’eroe è quello che incarna il coraggio e il desiderio di difendere le persone e le cose care, quello che stabilisce confini e lotta per ciò in cui crede, senza arrendersi mai. La ragazza era già candidata ad essere una «cazzuta», dietro all’esile fisico da Barbie «reginetta» e il sorriso robotico privo di cedimenti non si poteva non intravedere una straordinaria tenacia. Una delle ricerche più comuni nel web relativo a Kate è: principessa Kate che piange. Ma per i «rosiconi» del mondo non vi è alcuna soddisfazione in quanto nei database non ci sono tracce della futura regina che piange. Non credo perché non abbia mai pianto, ma perché da quando è convolata a nozze con l’erede al trono la borghese Kate si è calata nel ruolo con militaresco autocontrollo e disciplina. Come una brava attrice che scelga di recitare una parte complicata Kate doveva essere ben consapevole che non sarebbe stato facile il lavoro nella «firm», la ditta della famiglia reale inglese. Ha studiato, si è impegnata, ha indossato abiti e gioielli ereditati dall’ingombrantissima suocera Diana, imparato a stringere centinaia di mani ignorando il sudore e porgendo la mano morta per evitare a fine giornata un doloroso crampo al polso, ha finto di divertirsi a saltare nei sacchi di yuta sui prati delle scuole dei figli mentre orde di fotografi le urlavano «Kate di qua!» Probabilmente le lacrime le ha lasciate scorrere quando rimaneva da sola, forse chiusa in bagno o rintanata in uno sgabuzzino dell’Adelaide cottage. Ma nonostante l’ottimo lavoro svolto «without arrogance and with a smile in her lips» l’aristocrazia inglese non perdonava le sue origini piccolo borghese e questa smania di perfezionismo non consona a un certo ceto sociale. Da oggi sono invece le immagini di lei, più pallida del solito e ingoffata in una troppo larga maglietta a righe orizzontali che confessa la sua malattia che la «incoronano» a pieno titolo nell'archetipo dell’eroe. Gli archetipi sono universali, non sono frutto di esperienze personali ma accomunano tutte le culture e rappresentano una sorta di marchio distintivo di appartenenza al genere umano, collaborano alla memoria collettiva e si manifestano nei racconti, nelle leggende, nei miti. E Kate con il suo cancro confessato è la vera protagonista di un mito del nostro tempo. Noi tutti speriamo che la malattia sia in remissione, che la chemio funzioni e che Kate possa rimanere con i suoi bambini. Regina lo è già diventata. Proclamata da feroci sudditi finalmente esauditi: anche stavolta i ricchi piangono.

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