Ma quale privacy
Filippo Facci, ma quale privacy: la prova che siamo spiati peggio che in Germania est
“Abbiamo intercettazioni ambientali e telefoniche come non le aveva neanche la Germania dell’Est” incontenibile Filippo Facci su Il Giornale. L’editorialista lombardo dice la sua sul caso dossieraggio e sulla nuova e scottante inchiesta di Perugia. Lo fa in punta di fioretto. “Figuratevi se non ci associamo alla segretaria della Federazione della Stampa dopo l’inchiesta sui cronisti del quotidiano Domani: a pubblicare le notizie i giornalisti non commettono mai un reato... – commenta Facci – ci associamo, da colleghi, soprattutto perché sappiamo che non è vero”.
“I giornalisti rischiano di commettere un reato anche se pubblicano segreti di Stato, o atti segretati – sottolinea lo scrittore – Non è che per procurarsi una notizia (pur vera) un cronista possa armarsi di bazooka e fare qualsiasi cosa”. Il punto della questione per Facci però è altro: capire cosa rimanga del concetto di “segreto” e della sacralità del non essere “spiati” in uno Stato liberale. Per farlo “ci soccorre una memoria da anziani”, spiega lo scrittore che fa un tuffo nel passato.
Leggi anche: Tgcom24, l'attacco di Cerno sul dossieraggio: "Il bancomat delle inchieste non l'avevo mai sentito"
“Quando il mondo in teoria era peggiore, nel 1997, alcuni di noi descrissero nel dettaglio due incubi da futuro orwelliano: l'anagrafe tributaria e il redditometro. Ora sono realtà, ci siamo arrivati”. Si stava meglio quando si stava peggio: “si prendeva l’aereo senza doversi denudare ai controlli, in treno nessuno telefonava, nessuno ti intercettava, non eravamo tutti «tracciabili» come bistecche attraverso cellulari”. Potevi rinunciare a carte di credito e bancomat e “girare con mazzettoni di contanti come uno spacciatore” spiega ironicamente. E ricorda un vecchio articolo del collega Massimo Fini: “Io il mio denaro ho diritto di metterlo dove mi garba, di ficcarmelo anche nel c... se così mi piace – ricorda Facci – E noi sperammo che Fini non ne avesse troppo, di denaro”.
Il giornalista si spiega: “ai tempi c’erano già spionaggi e dossieraggi – scrive nel suo editoriale – ma paradossalmente non esisteva un concetto di “privacy” o addirittura una “Authority della privacy” in un’epoca, questa, in cui la riservatezza è diventata una chimera”. Poi la bordata: “In Italia, per spesa e quantità, abbiamo intercettazioni ambientali e telefoniche come non le aveva neanche la Germania dell’Est”. Attacco che Facci argomenta ricordando la querelle del 2016 tra Fbi e Apple sullo “sblocco” dell'iPhone di un terrorista. In quell’occasione la società si era rifiutata di sbloccare il telefonino appellandosi alla privacy e alla salvaguardia dei dati personali. “Una società di cybersicurezza israeliana riuscì sbloccare il cellulare per conto dell'Fbi – ricorda – e significò che uno Stato può immettersi nelle tue cose al pari di hackers e criminali”. Infine, la chiosa del Facci-pensiero: “L'uomo moderno ha rinunciato a essere felice in cambio di un po' di sicurezza” disse un certo Sigmund Freud nel 1929. E non aveva neanche l'Iphone”.