l'uscita da fazio
Chiara Ferragni, ma chi sopporta più i suoi piagnistei? Paragone all'attacco
Fabio Fazio incassa un altro bel dato d’ascolto facendo felice l’editore del canale Nove, l’americana Warner Bros., che mette in cascina un grandioso 14 per cento grazie alla sceneggiata di Chiara Ferragni. Record di ascolto. Cosa può aver attirato una platea così importante di persone? Il senso del drama, della fiction: ascesa e discesa di una donna di successo. Mi sbaglierò ma se fossi nella Ferragni non gioirei per lo share, nel senso che il piagnisteo andato in onda ha confermato arroganza, falsità e persino quell’odore di debolezza che accompagna gli animali feriti quando si trovano a lottare per la sopravvivenza. Quel mondo fatto di ricchezza ostentata, di marchi e griffe messi sul bancone dei propri canali social tra una storia coi figli e un’altra, di seguaci imbambolati, quel mondo lì adesso si è girato contro e giudica, boccia, non perdona. Segue sì, ma non più ipnotizzato; stavolta non s’adeguerà ai «consigli degli acquisti». È come se non fosse più di moda, non più vincente. Assistere al declino fa ascolti.
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Aver scelto Fabio Fazio nel tentativo di rialzarsi ha portato la moderna influencer in quel ruolo che fu di Veronica Castro (noi boomer...) nella telenovela «Anche i ricchi piangono». Tutto si è accartocciato tra pandori, biscotti e bamboline; in pochi minuti tutto è apparso un piagnisteo insopportabile, falso, costruito nel disperato tentativo di non franare. Ha con sé i fazzoletti, dice Chiara a Fabio, perché nella sceneggiatura che aveva in testa stava scritto che la parte della vittima ben si accompagnava con un po’ di pianto. Che peccato non poter monetizzare il trucco sugli occhi che resiste alla mano e alle lacrime. Che peccato non poter monetizzare e dire di che marca sono i fazzoletti della consolazione.
Dopo le due pagine del Corriere, la chiacchierata con Fazio la cui specialità è evitare le domande scomode. Eppure quelle risposte le dovrà dare ai magistrati perché le accuse non sono una passeggiata. La tesi dell’equivoco non regge, anzi dà veramente fastidio perché le scuse di maniera sono soffocate dall’impressione che si ha nello scaricare negli acquirenti in buona fede la colpa di non aver capito le sue intenzioni benefiche e solidali. Come a dire: siete entrati in questo circo e ora vi beccate il gioco di prestigio che io ho costruito. Insomma scemo chi ci ha creduto.
Piange e denuncia l’odio. Lei che sulla Nove rimarca ciò che già sul Corriere aveva detto: la vittima è sempre lei. Rilancia su Fedez, sull’invidia perché ha successo, sulla fatica con cui ha raggiunto il successo, bla bla bla. «Penso di cambiare modo di vivere» sentenzia come se fosse un’altra frase cult tipo «Pensati Libera»: come cambia in un anno il peso delle parole. Soprattutto quando odorano di acre, quando hanno il retrogusto rancido: è chiaro a tutti che il Corriere o Che Tempo Che Fa sono solo il tentativo di non franare. Eppure, non gira più perché le proprie parole diventano inciampo. Come l’uscita su Tommaso Trussardi: non lo conosco nemmeno. Già, peccato che a stretto giro arriva la versione di lui che è di tutt’altra pasta: «Conosciamo Chiara Ferragni da molti anni; da quando era una semplice, ma talentuosa "bloggherina" la quale ancora faticava ad essere invitata alle sfilate (...) Liquidare tutto ciò con "non lo conosco neanche" è riduttivo ed offensivo rispetto ad un passato professionale che merita la sua corretta dimensione». Se non è stata chiara nemmeno su Trussardi, diventa difficile crederle sul resto della storia. Con tutte le lacrime del mondo...