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Vittorio Feltri inchioda gli "smemorati", la verità sul caso di Ilaria Salis

Gabriele Imperiale
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“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” Vittorio Feltri cita la Bibbia e stoppa le polemiche con l’Ungheria. Nel suo spazio su Il Giornale, il direttore editoriale ha risposto ad un lettore sul caso di Ilaria Salis, la militante antifascista detenuta da oltre 11 mesi a Budapest. “È stato orribile vedere una detenuta con mani e caviglie legate – esordisce Feltri – trovo che tale trattamento sia ingiusto”.

 

Nessun reato giustifica il trattamento riservato alla nostra connazionale ma secondo Feltri “Noi italiani non possiamo di sicuro giudicare i sistemi penitenziari degli altri Stati del continente europeo – dice il direttore e sottolinea – le nostre prigioni sono tra le peggiori in Europa”. “Agli smemorati o ai distratti vorrei fare presente – evidenzia – che soltanto due mesi fa la Corte di Strasburgo ha condannato il nostro Paese per avere violato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani”. Il giornalista si riferisce all'ergastolano Francesco Riela, che non avrebbe ricevuto cure mediche tempestive e adeguate durante la sua detenzione, soffrendo ulteriori dolori fisici e mentali. 

“Il diritto alla salute non è forse un diritto fondamentale?”, si chiede Feltri. Poi il sovraffollamento che secondo la Corte di Strasburgo “costituisce un problema strutturale, non una semplice eccezione temporanea”. Centinaia, infatti, i ricorsi fatti proprio alla Corte dai detenuti. E Feltri si domanda: “Se noi rinchiudiamo una decina di individui in una gabbia di pochi metri quadrati e adatta ad ospitare due o tre persone non stiamo anche noi realizzando un abuso?”. E forse – sostiene il fondatore di Libero – si tratta di “un abuso ben peggiore” rispetto a quello patito dalla Salis e senza troppi fronzoli, sostiene: “non siamo migliori degli ungheresi, non siamo più civili, non siamo più umani”. 

 

E via con altri esempi: il 41 bis ancora in vigore che “comporta l'adozione di misure gravemente afflittive, di cui ho difficoltà a cogliere il senso oltre che lo scopo”. Feltri provoca il suo lettore con l’ennesima domanda: “A cosa serve vietare ad un detenuto di potere leggere un libro o di potere tenere la fotografia dei propri cari appesa al muro decrepito e gelido della propria cella?” e risponde: “non serve a nulla” e sottolinea “questo contraddice la finalità stessa della detenzione, che, in base alla nostra Costituzione, dovrebbe essere rieducativa e non mortificante e punitiva”.

E cosa dire dei condannati che hanno scontato anni o decenni in carcere senza essere colpevoli? Feltri porta come esempio Giuseppe Gulotta, dichiaratosi colpevole negli anni Settanta di un omicidio mai commesso e scagionato nel 2015 solo grazie alle dichiarazioni di un ex brigadiere che ha ricostruito ai magistrati come la confessione fosse stata estorta tra simulazioni di annegamento, elettroshock, pestaggi e minacce. “Prima di dare lezioni di civiltà agli altri – chiude Feltri – assicuriamoci di osservare per primi quello che pretendiamo di insegnare”.

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