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Cecchettin, Cazzullo loda il padre di Giulia: "Parole destinate a restare"

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La storia di Giulia Cecchettin ha colpito l'immaginario collettivo. Benché la 22enne non sia la prima vittima di femminicidio, la sua vicenda ha catalizzato l'attenzione dell'intero Paese e ha fatto riscoprire l'importanza di un serio impegno nel combattere la violenza di genere. Un lettore ha scritto ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera e gli ha chiesto di commentare la lettera che papà Gino ha scritto alla figlia uccisa dall'ex ragazzo. "Cari lettori, le parole di Gino Cecchettin, prima in chiesa poi nel colloquio con Walter Veltroni sul Corriere, sono destinate a restare. Il signor Cecchettin ha avuto l'intelligenza e la sensibilità di capire che il suo terribile dolore privato era divenuto anche un dolore e un lutto pubblico; e ha trovato le parole giuste per consolare e per ammonire", ha scritto il giornalista. 

 

 

"Il vertice resta Giovanni Bachelet, che al funerale del padre Vittorio prega per i suoi assassini. Altre famiglie si sono chiuse in un silenzio legittimamente rancoroso ma rotto da fughe di notizie, documenti manipolati e altre vicende che non hanno reso un buon servizio alla memoria del loro congiunto scomparso. Ricordo invece la famiglia Solesin, i genitori pieni di dignità, la camera di Valeria nella loro piccola casa nel sestiere di Cannaregio, i suoi libri, i suoi appunti: quel che restava di un'esistenza breve ma feconda, costruttiva, aperta agli ideali della solidarietà, della costruzione europea, della convivenza tra le fedi e i popoli che il suo assassinio ha potuto violare ma non impedire", ha continuato. E ancora: "Ricordo Gino Russo, il padre di Melissa, una delle ragazze vittime del «mostro di Marcinelle», Marc Dutroux. Era figlio di emigrati ma non parlava l'italiano. La figlia aveva avuto una fine orribile, morta di fama dopo l'arresto del suo carceriere. Era l'estate del 1996. Andai davanti a casa sua morto di vergogna, il cortile era pieno di altri emigrati che la famiglia Russo neppure conosceva, lontani parenti o compaesani che agitavano i pugni al cielo giurando vendetta e cercando protagonismo".

 

 

Cazzullo ha rispolverato alcuni ricordi rimasti nitidi nella mente: "Il signor Gino non conosceva neanche La Stampa, il giornale per cui allora scrivevo, ma aveva bisogno di sfogarsi, e trovava consolazione al pensiero che i lettori del Paese da cui era suo padre sapessero tutto di sua figlia. Parlò di lei per ore, mi mostrerò i suoi disegni, me ne lasciò qualcuno con la preghiera di pubblicarlo, perché era l'unico modo di far rivivere Melissa, di far sì che lasciasse una traccia di sé. Nessuno può giudicare il modo in cui reagisce chi ha perso la persona più cara in circostanze particolarmente dolorose; ma resto convinto che parlarne sia il modo più giusto", ha concluso. 

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