con sinistra italiana
Nichi Vendola torna in campo e per farsi notare attacca Salvini
A volte ritornano. E per alzare i toni, dopo anni di totale anonimato, sparano a zero contro gli avversari. Senza peraltro proporre nulla di nuovo, e di alternativo, di avvincente. La solita minestra riscaldata, i medesimi temi di sempre, nella malcelata speranza che la società di dieci anni fa sia rimasta, sostanzialmente la stessa. Nichi Vendola è il nuovo presidente di Sinistra Italiana. Come primo atto da segretario rieletto al congresso di Perugia, Nicola Fratoianni ha avanzato due proposte, entrambe promosse dagli iscritti: affidare la figura del tesoriere del partito a Mimmo Caporusso e, appunto, a Nichi Vendola la presidenza. «Questo è un ritorno alla politica, ma non mi candido a niente. Vorrei rivolgermi ai tanti compagni e compagne che sono fuori di qui e sono anche fuori dal partito e fuori dall’idea di tornare a fare politica e talvolta di andare a votare. Non possiamo abbandonarci alla depressione, al rimpianto alla nostalgia. I tempi sono oscuri e questo è il tempo di tornare a casa per rimetterci in cammino, questo dobbiamo fare con la cura di accogliere le tante differenze».
Il sessantacinquenne barese è stato, per anni, uno degli attori principali dell'universo progressista più radicale. I suoi genitori, un impiegato delle poste e una casalinga, lo chiamarono Nichi in omaggio all'ex presidente dell'Unione Sovietica, Nikita Krusciov. Dopo essersi laureato in Lettere nel capoluogo pugliese con una tesi su Pier Paolo Pasolini, fece ben presto comingout e rivelò la propria omosessualità. Nei primi anni Ottanta fu tra i promotori e fondatori dell'associazione Arcigay e della Lega italiana per la lotta contro l'Aids. Alle elezioni politiche del 1987 ,Vendola si candidò alla Camera nelle liste del Pci del Lazio. Ottenne 10.764 preferenze e non venne eletto. Contrario alla svolta della Bolognina promossa da Achille Occhetto nel novembre 1989, al penultimo congresso del Pci del marzo 1990 Vendola era tra i 105 dirigenti eletti nel comitato centrale per la mozione Ingrao.
Dopo lo scioglimento del Pci, Vendola non considerò neppure l'ipotesi di entrare nel Pds, bollato come troppo moderato. Optò così per Rifondazione Comunista. In quegli anni lavorò come giornalista nella prima redazione di Liberazione, il settimanale di partito. Nel 1992 fu eletto con 5448 preferenze alla Camera dei Deputati e da allora rimase a Montecitorio fino al 2005.
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Vendola si schierò accanto a Fausto Bertinotti e contro Armando Cossutta nella contesa che si creò all'interno di Rifondazione. Non è un caso che lo stesso Cossutta (uno che non le mandava certo a dire) definì Vendola un «rivoluzionario da salotto». Nel 2005 vinse le primarie dell'Unione come candidato alla presidente della Regione Puglia, dopo aver sconfitto, a sorpresa, l'economista Francesco Boccia per una manciata di voti: 40.358 voti (50,9%) contro le 38.676 (49,1%) preferenze ottenute dal suo avversario. Anche alle elezioni regionali, Vendola trionfò per un soffio: ottenne infatti il 49,84% dei consensi contro il 49,24% di Raffaele Fitto, candidato del centrodestra e presidente uscente. Cinque anni più tardi, verrà confermato governatore. Dopo aver contribuito alla nascita di Sinistra e Libertà, nel 2015 appoggiò convintamente Michele Emiliano come suo successore in Puglia. Dal 2017 in poi la sua presenza nella politica che conta si fece sempre più sfumata. Una scelta dovuta anche alla voglia di seguire, con maggiore attenzione, il figlio adottato insieme al suo compagno. Oggi il ritorno e l'attacco frontale ai principali esponenti del governo di centrodestra. «Ho letto le parole di Meloni su quanto accaduto con il suo compagno. Mi ha colpito di quella dichiarazione, non tanto la esibizione di un orgoglio ferito, ma una reticenza. Quello che personalmente avevo vissuto come una incredibile umiliazione delle donne, la performance sessista del suo compagno, non ha visto nessuna parola di solidarietà di Meloni nei confronti delle donne vittime. È insopportabile».
Come da copione, non poteva mancare il riferimento al leader della Lega. «Vedo che Salvini esalta la democrazia israeliana, chissà che effetto gli fa sapere che quella democrazia riconosce le famiglie arcobaleno. C’è la necessità di organizzare attorno al paradigma della guerra una riflessione sistematica che riguarda anche il modo di vivere nella politica: come ci disarmiamo, a cominciare dalla messa in discussione del genere maschile e della sua predominanza. Il silenzio dei maschi è una delle forme di complicità con la violenza contro le donne. E talvolta mi ha colpito anche il silenzio delle donne».