Vincenzo De Luca, un libro per rompere l'isolamento. Dietro "Nonostante il Pd"
C’è una buona regola, possibilmente da non derogare mai: prima di scrivere la recensione di qualsiasi libro, questo va sempre letto dalla prima all’ultima pagina, indice compreso. Ecosì ho fatto anche nel caso dell’ultima fatica letteraria di Vincenzo De Luca, «Nonostante il PD, fra partito fluido, Pnnr al palo, Sud tradito e passioni tristi» – edizioni Piemme 2023 – solo che quello racconta nelle 267 pagine il presidente della regione Campania, almeno per quanto riguarda il capitolo più corposo in cui esalta il suo «modello» di amministrazione virtuosa, oltre ad averlo letto e sottolineato, l’ho anche vissuto in prima persona. Da cittadino e da «delucologo», ovvero da studioso dilettante della comunicazione del Nostro, diventata in trent’anni di carriera politica un marchio di fabbrica inconfondibile e di un certo successo, portatore di alcuni caratteri fortemente identitari da renderlo non «pezzotabile» da nessuno. Crozza compreso.
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Da questa duplice prospettiva, che spero mi conservi neutrale, mi accingo a fare alcune considerazioni. Innanzi tutto, c’è da dire che il libro contiene al proprio interno tre diverse dimensioni, che confinate per necessità editoriale in un solo testo rischiano di non supportare, come era forse nelle intenzioni di partenza, l’obiettivo politico di fondo, cioè una legittimazione compiuta della leadership deluchiana su scala nazionale.
La prima è quella autobiografica, la seconda investe il rapporto con il Partito Democratico e la terza, come detto poc’anzi, è tutta centrata sull’autenticazione della narrazione del «mai più ultimi», con la quale De Luca ha avviato otto anni fa la sua esperienza alla guida della regione. Tra tutte e tre, però, quella autobiografica rimane forse la più interessante perché ci aiuta a comprendere molta dell’insoddisfazione di fondo che accompagna le altre due: per non essere stato mai compreso e accettato dal «suo» partito e per non aver visto mai pienamente riconosciuta da Roma in su la qualità del lavoro e dei risultati conseguiti, a suo dire, dalla rivoluzione democratica fatta in Campania.
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C’è un aspetto non secondario che, comprensibilmente, sfugge all’autore nel tracciare a posteriori un bilancio della sua azione politica, anch’egli alla fine è rimasto prigioniero della forza straordinaria della sua comunicazione. In questi anni, avendo coscienza e cognizione dell’utilità strumentale di dotarsi di un nemico contingente, una sorta di punchingball da irridere pubblicamente per soddisfare e accattivarsi gli istinti tribali dei cittadini vittime della politica politicante, ha finito per creare una platea così vasta ed eterogenea di nemici, in ogni luogo e in ogni tempo, da restare isolato. Non si è accorto che sull’altare di politico libero e indipendente stava altresì sacrificando anche l’arma della diplomazia, condizione necessaria e sufficiente per scalare la politica italiana. Paradossalmente, più la sua comunicazione funzionava e lo premiava nei momenti elettorali, tanto più De Luca è rimaneva ingabbiato nel copione narrativo fatto di nemici che andavano dileggiati con un linguaggio fuori dagli schemi, tutte nullità, bestie, cafoni e imbecilli. Un linguaggio che ha dovuto anche riportare a più riprese nelle pagine del libro per conferire credibilità al personaggio. Così con gli anni, in particolare con l’esplosione di viralità connessa all’utilizzo delle piattaforme, l’autorevolezza del politico si è sganciata dai risultati effettivi, dai meriti conquistati sul campo, dalla capacità di analisi, qualità di cui De Luca non difetta affatto, per essere al contrario solo ancorata al ruolo di Terminator dei cialtroni e degli opportunisti dentro e fuori il Pd. Ecco, in questa cornice autobiografica si inseriscono, da un lato il racconto apertamente auto-assolutorio portato avanti da De Luca nel mandare al patibolo i dirigenti dem e, dall’altro, la sua visione, senza macchie e senza errori, di presidente della Campania.