Israele, il generale Tricarico sveglia tutti: “C'è il rischio della chiamata alle armi jihadista”
«La differenza militare tra Hamas e Israele è abissale. La penetrazione sanguinaria che è stata fatta in Israele è stata fatta praticamente a mani nude, perché avevano i soliti razzi Qassan che, lo voglio ricordare, non hanno un sistema di guida, non sono precisi. Quindi se vengono puntati su un’area piuttosto vasta è chiaro che all’interno del perimetro di una cittadina qualcosa colpiscono, ma non sono in grado assolutamente di prendere la mira su alcunché. Poi forse avranno avuto non dei droni, ma dei giocattoli che dal punto di vista della letalità sono delle punture di spillo, quindi non si può parlare di droni militari. Non hanno un’aviazione, ma delle biciclette volanti, non hanno un armamento pesante bensì individuale o da taglio o mani nude. Queste sono le capacità che è in grado di esprime Hamas». È l’analisi del generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare e attuale presidente della fondazione Icsa, in merito a quanto sta accadendo in queste ore.
E Israele?
«Siamo al massimo della tecnologia oggi reperibile sul mercato. Nell’aviazione hanno gli F35 già operativi da qualche anno, hanno anche un velivolo italiano molto performante che nella sua categoria è quanto di meglio ci possa essere sul mercato delle armi. Nel campo della Ict sono all’avanguardia nel mondo. Quindi come armamentario lo hanno aggiornato in maniera sufficiente, ma se non bastasse gli americani sono già scattati in soccorso prima che venisse loro chiesto. Naturalmente hanno anche un intelligence molto capace che, quando messa a regime e non presa dormiente come in questi giorni, è in grado di mappare la situazione del campo di battaglia in maniera assolutamente cronometrica e millimetrica. Si tratterà di capire oggi qual è la ricetta, visto che gli ingredienti ci sono tutti e di eccellente natura. C’è sicuramente il rischio alto che riguarda gli ostaggi».
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In caso di attacco via terra a Gaza gli ostaggi potrebbero diventare «effetti collaterali»?
«Mi baso sul vissuto e spero che valga anche oggi la considerazione estrema che Israele ha della vita umana dei propri cittadini. Però anche questa ipotesi è da mettere in conto, e mi auguro che non sarà così. Mi auguro anche che le forze di terra non entrino ancora a Gaza, perché quelle sì che fanno guai seri, e che si continui ad usare la componente aerea fin dove è possibile».
Se Hamas sapeva dell’inferiorità militare perché si è imbarcato in questa guerra?
«Bisogna ragionare con la mentalità del terrorista: devono raggiungere Allah e le vergini in cielo, quindi è una dimensione diversa dalla nostra. Evidentemente l’effetto voluto, di così vaste proporzioni, nella mentalità di questa gente era diretto a conseguire dei risultati che soltanto così sarebbero stati conseguiti».
Quali?
«Quelli di inceppare, forse in maniera definitiva, il processo di distensione che stava prendendo corpo nel mondo arabo. Tutto sommato stavano venendo meno il supporto degli aiuti alla causa palestinese da parte di attori regionali molto importanti nella lotta di Hamas e questa cosa stava isolando la causa palestinese. Volendo cercare una ragione plausibile per l’accaduto questa dovrebbe avere un ruolo centrale».
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Nella risposta di Israele potrebbero esserci similitudini con altre, tipo quella arrivata dopo la strage di Monaco?
«Quello che fu fatto allora lo possono fare anche oggi, a maggior ragione perché hanno gli strumenti più affilati per poter arrivare a questo risultato. Purtroppo quando si parla di questo mi torna alla mente Ustica, dove sono convinto che quel velivolo cadde ad opera di terrorismo di questa matrice, o palestinese o libica. Oppure tutte e due, perché al momento c’era una fusione abbastanza evidente tra due forme di lotta».
Lei oggi vede un rischio terrorismo?
«Se qualcuno decidesse di dare fuoco alle polveri sì. Per ora Hamas ha mantenuto la sua connotazione di strumento di guerra votato esclusivamente alla causa del popolo palestinese. Quindi credo che anche geograficamente voglia mantenere l’ambito di Israele e dei territori occupati. Però è chiaro che una chiamata alle armi del terrorismo jihadista potrebbe avere degli effetti sicuramente a macchia d’olio ed è un rischio concreto, per il momento non verosimile ma lo può diventar da un momento all’altro».
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