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Vittorio Feltri: continuerò a dire "clandestino". Guerra ipocrita alle parole

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Ormai è una guerra di parole sul campo di battaglia del politicamente corretto. Ha fatto discutere la sentenza con cui la Cassazione interviene sull'uso del termine "clandestino" per chi cerca di entrare illegalmente in Italia. Come aveva fatto il giornalista e capogruppo regionale della Lega in Valle d’Aosta, Andrea Manfrin, con il Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti che ha comminato la pena di 3 mesi di sospensione della professione.  L’ Asgi e l’associazione Naga avevano citato in giudizio nel 2016 la Lega affermando che qualificare i richiedenti asilo come clandestini costituisce "molestia discriminatoria". La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.

 

"Non esiste alcuna norma che autorizzi i cittadini di altri Paesi a mettersi in mare per trasferirsi in Italia, addirittura senza documenti. Di contro, semmai esiste il reato di clandestinità, cioè il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, ed esistono altresì i clandestini, che dalle nostre parti sono parecchi", scrive Vittorio Feltri su Libero annunciando che non smetterà di usare il termine "clandestino".

SI tratta di un tema importante che coinvolge valori supremi. "È grave sintomo di superficialità guerreggiare contro le parole. Ed è disonesto strumentalizzarle per sguazzare in vittimismo bieco ed inutile, atteggiamento che appare molto in voga negli ultimi anni, o per compiere attacchi ideologici nei confronti di chi non riusciamo a digerire", spiega il direttore di Libero. "Adesso è il politicamente corretto a determinare una distinzione manichea tra ciò che è ammesso proferire e ciò che è severamente vietato pronunciare, pena lo stigma (a vita) di intollerante". Perché si dà il caso "appunto che coloro i quali adoperano la parola 'clandestino', nonostante si tratti di un termine prettamente giuridico, siano per ciò stesso fascisti, razzisti, estremisti di destra, ignoranti e incivili".

 

La guerra delle parole è sintomo di "un perbenismo di facciata, sterile", non certo di un progresso. "È una schizofrenia questa pretesa di epurare il linguaggio da quelle voci a cui da sempre ricorriamo e alle quali non abbiamo mai attribuito alcuna funzione insultante", ribadisce Feltri.  Usare il termine "clandestino" per un migrante che entra illegalmente in un altro Paese è una "constatazione, così come l’affermazione, di questo stato di fatto non può rappresentare una discriminazione o un delitto. Essa costituisce una mera e oggettiva informazione priva di qualsiasi contenuto valoriale o giudicante. Ecco la ragione per la quale è inaccettabile che un giornalista venga condannato dall’Ordine che dovrebbe tutelarlo", attacca il direttore che ribalta il concetto: "Dannoso sarebbe semmai affermare che un clandestino non sia clandestino, ovvero negare la verità soltanto perché ci appare poco carina". 

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