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Henderson va in Arabia Saudita: il tradimento del paladino Lgbt

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Christian Campigli
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Pecunia non olet, dicevano in un famoso e (spesso) abusato detto i Latini. Una massima, quella secondo la quale il denaro riesce a coprire tutto, anche gli odori più acri ed intensi, che calza a pennello nella misera (ma solo a livello morale) vicenda di Jordan Henderson. Il capitano del Liverpool andrà infatti a giocare all’Al-Ettifaq. In Arabia Saudita. Si dirà: non è il primo né l'ultimo. Anche un fenomeno (seppur in declino) come Cristiano Ronaldo ha preso la via di Riyad. Ma non solo. In molti, in questa infuocata estate, hanno scelto di dire addio al calcio che conta, per inseguire stipendi dieci, quindici più volte più alti di quelli europei.

 

 

La notizia odierna acquista però un carattere sociopolitico e non solo sportivo. Perché il vigoroso centrocampista è stato, in tempi non sospetti, uno dei paladini dei diritti LGBT. Nel 2019, non mille anni fa, il talentuoso centrocampista dichiarava: "Sono un genitore, un marito, un figlio e un fratello, e l’idea che chiunque ami e a cui tengo non si senta al sicuro o a suo agio venendo a vedermi giocare se facesse parte della comunità LGBT mi fa chiedere in che mondo viviamo”. Che è cambiato da allora?

 

 

Perché fa riflettere l'atteggiamento dell'ex idolo di Anfield, che per un contratto da 700.000 sterline a settimana (circa 115.000 euro al giorno) si è dimenticato delle sue stoiche battaglie. Di fronte a quella enorme montagna di riyal, evidentemente, il campione inglese si è, come dire, dimenticato che in Arabia gli omosessuali vengono perseguitati. E spesso uccisi. Una domanda, in questa torbida estate, sorge spontanea: Jordan Henderson, quando gridava allo scandalo per le condizioni nelle quali, in Inghilterra e in Europa, venivano trattati gay e lesbiche, era sincero o era solo l'ennesimo influencer, un altro prodotto commerciale da buttare in pasto a tifosi e social network?

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