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Vittorio Feltri compie 80 anni. Gli auguri all'ultimo sculacciatore anarchico

Luigi Bisignani
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Caro direttore, il suo canto libero. Vittorio Feltri oggi doppia le 40 primavere. È l’ultimo «sculacciatore» anarchico in circolazione, senza padroni né padrini. Una vita libera e libertina, nell’accezione illuminista del termine. Un solo Dio, per lui che è senza Dio: la sua coscienza ed il denaro. Ne guadagna, ma molto di più ne fa guadagnare, portando in dote un «bene» sempre più raro, i lettori. In questo è equiparabile solo ad altri due giganti del giornalismo: Indro Montanelli, che però, da bravo toscanaccio capriccioso, a differenza di Vittorio, per ripicca a Silvio Berlusconi ad un certo punto ha inserito la freccia a sinistra, ed Eugenio Scalfari, che della sinistra era il maître à penser, sempre innamorato di sé stesso e pronto a pontificare con i potenti di turno, salvo poi dar loro il bacio della morte. Feltri è l’ultimo «highlander» della carta stampata. 80 anni senza sentirli, Vittorio conserva, insieme all’esperienza, tutta la sua incosciente freschezza che mette al servizio del contro tutto e tutti, prendendosi fendenti che annichilirebbero un qualunque spavaldo giovanotto. Ma non lui. E l’età lo rende ancora più «libero» - come il nome del giornale che ha fondato - di dire ciò che pensa, senza mezzi termini, di emozionarsi in pubblico quando un argomento lo tocca davvero e soprattutto di divertirsi. Finge di non avere un cuore, invece ce l’ha e grande. Ed è generoso e inclusivo, la sua magnanimità però non la ostenta. Nel paesino in Molise dove da piccolo faceva le vacanze, e dove ha imparato ad amare i cavalli, ancora ricordano che, quando qualche anno fa si ruppe la campana della Chiesa, fu lui a mandare i soldi per ripararla. Così come, dopo tanti anni, non smette di essere riconoscente a sua moglie che lo salvò, quando, ancora giovane, rimase vedovo con due gemelle. Non appena ha potuto, ha adottato il quinto figlio, Paolo, dopo Laura, Saba, Fiorenza e Mattia. Paolo che, come lui, era rimasto orfano troppo piccolo. E chissà che non siano state proprio le vicissitudini della vita a dargli quella forza d’animo e quel filo diretto con la gente comune, la cosiddetta «pancia» del Paese, che oggi nessuno ha. È l’esatto contrario di quello di cui lo accusa chi lo vuole colpire. Altresì lui non è mai sfiorato dall’intenzione di colpire qualcuno, è un habitus che proprio non gli appartiene. Semmai scopre talenti e li valorizza come peraltro faceva a «La Notte» il suo maestro Nino Nutrizio, dal quale ha imparato come si gestisce una redazione, perché il merito va riconosciuto. Vittorio conserva ancora la penna con cui Nutrizio scriveva i suoi fondi, che la vedova dello storico direttore del quotidiano milanese gli regalò.

 

 

 

E qui veniamo alla riconoscenza, che per Giulio Andreotti era spesso il sentimento della vigilia, ma che invece Feltri nutre verso tutti quelli che lo hanno aiutato nella vita e nella carriera, da Angelo Meli, priore bergamasco che lo raccomandò per scrivere i suoi primi articoli di giornale, dopo avergli trasmesso cultura e vivacità di pensiero, a Berlusconi o agli Angelucci che, a carriera già avviata, lo hanno riempito non solo di gloria. E nonostante sia cresciuto con i preti al punto di fare il finto seminarista per poter partecipare ai tornei di calcio, gioco in cui era molto bravo in gioventù, non crede in Dio né nell’Aldilà. Una fortuna per chi lo incontra sulla propria strada, proprio perché ricambia le opportunità che lui stesso ha ricevuto da persone conosciute, per caso o per disegno del destino. Nel corso dei suoi ruggenti 80 anni, lui, la vita, l’ha cambiata a molti colleghi che oggi fingono di non ricordarselo. Celebri i titoli fulminanti dei suoi giornali, dei veri «acchiappa-copie», che ha imparato a creare quando faceva il vetrinista in un negozio di vestiti della sua città, per attirare i clienti. Emblematica, infine e per ricordarne solo una delle tante, la difesa di Enzo Tortora portata avanti in un giornale come il Corriere della Sera che in quel momento aveva iniziato la deriva giustizialista al servizio della Procura di Milano, come poi ha confessato, dopo anni di silenzio, un professionista di razza come Paolo Mieli. Quel mondo manettaro e radical chic Feltri l’ha sempre combattuto, andando controcorrente e lanciando ciambelle di salvataggio a primedonne della politica che aveva osteggiato quando erano in auge e poi difeso quando cadute in disgrazia. Dissacrante e dissacratore, il politically correct gli fa un baffo. Uno dei suoi più recenti tweet, che ha scatenato l’ira funesta di sinistroidi, grillini e Lgbtq+, è dedicato ai fluidi: «Cari amici gay lo volete capire che il culo è un’uscita di sicurezza e non una entrata secondaria?». Un esercizio di ironia che pochi hanno colto, c’è ancora molto da imparare dal genio. A Vittorio che ama, ricambiato, le donne, che adora i cavalli e il suo micio grigiotto Ciccio che lo sente arrivare a Bergamo quando è ancora in autostrada, che è un nonno e un padre presente ma non mieloso da imitare e che ha una straordinaria collezione di spille alla cravatta e di gemelli: slàinte mhath!. Ora che hai doppiato i 40, raddoppia pure i 50. Auguri e facciamoci un whiskyno, Lagavulin, naturalmente, il tuo preferito.

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