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In Onda, il sospetto di Paolo Mieli su Wagner: "Due cose non tornano"

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Servirà tempo per capire effetti e implicazioni del tentativo di colpo di Stato in Russia guidato dal capo di Wagner, Yevgeny Prigozhin, fermato da un compromesso in extremis con i carri armati alle porte di Mosca e il Paese a un passo dalla guerra civile. Paolo Mieli interviene a In onda, su La7, per commentare una giornata che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso. "Mettiamo bene in chiaro come è iniziata questa giornata, con Prigozhin che ha detto che i motivi dell'aggressione russa all'Ucraina sono tutte balle, non era vero che la Nato stava attaccando e non era vero che gli ucraini stavano bombardando il Donbass", afferma l'ex direttore del Corriere della sera. 

 

L'insurrezione del gruppo Wagner infatti è stata preceduta dall'ennesimo attacco del suo leader che ha messo in dubbio la propaganda di Vladimir Putin sulla guerra in Ucraina. È stato quello il punto di rottura definitivo, ma perché portare lo scontro a quel livello? Prigozhin ha detto che la storia della "denazificazione dell'Ucraina era una fesseria, quelle parole le ho lette e rilette - afferma i giornalista e storico -  Qual è la sua teoria? È che questa è una guerra e queste idiozie servono a far abboccare qualcuno in Occidente". C'è una seconda cosa che non torna, secondo Mieli.  Putin, nell'ormai famoso discorso con cui ha risposto al capo dei mercenari, "ha evocato il 1917, l'anno delle due rivoluzioni, quelle di febbraio e quella di ottobre. E che c'entra? Perché lo ha fatto?", si chiede lo storico. Insomma, in questa vicenda c'è molto di poco chiaro e saranno decisive le prossime ore e i prossimi giorni. 

 

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