diffamazione
Roberto Saviano, il processo diventa un comizio anti-governo
Il processo non c'è stato. Lo show invece sì. La prima udienza nel procedimento ai danni di Roberto Saviano per diffamazione nei confronti di Giorgia Meloni è durata appena una manciata di minuti. Poi, per questioni procedurali - il giudice onorario non può occuparsi di una simile questione, ne va nominato un altro - è stato tutto rinviato al prossimo 12 dicembre. Per l'occasione, però, nonostante l'esito fosse già noto in anticipo agli addetti ai lavori, il tribunale di Roma è stato preso d'assalto da cronisti e da diversi intellettuali arrivati per solidarizzare con l'autore di Gomorra, dagli scrittori Nicola Lagioia, Michela Murgia e Sandro Veronesi all'attrice Kasia Smutniak fino al direttore de La Stampa Massimo Giannini.
Attestato il rinvio del processo, lo «spettacolo» si è spostato all'esterno del tribunale, in piazzale Clodio. Dove Roberto Saviano ha letto una lunga dichiarazione sulla vicenda: «Io sono uno scrittore- ha detto- il mio strumento è la parola. Cerco, con la parola, di persuadere, di convincere, di attivare». «La parola è ciò per cui io sono qui - ha proseguito L'accusa è quella di aver ecceduto il contenimento, il perimetro lecito, la linea sottilissima che demarca l'invettiva possibile da quella che qui viene chiamata diffamazione».
«Sono uno scrittore e quindi, avendo ottenuto la libertà di parola prima di qualsiasi altra, sono deciso a presidiarla - ha aggiunto - Ho fiducia che si possa finalmente esorcizzare la più subdola delle paure e cioè che avere un'opinione contraria alla maggioranza significhi avere un'opinione non legittima, e che quindi avere un problema con la maggioranza di questo governo significhi avere un problema con la giustizia. Ciò sarebbe gravissimo e confermerebbe un'ipotesi che questa maggioranza politica voglia condurci verso una democratura».
Al centro del procedimento la definizione di «bastardi» che lo scrittore dedicò a Meloni e Salvini a proposito delle loro posizioni sull'immigrazione. Proprio Matteo Salvini, ha riferito Saviano, ha deciso di costituirsi parte civile nel processo. Inoltre è stato reso noto che la difesa dello scrittore ha chiamato a deporre l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti per illustrare i termini degli accordi con la guardia costiera libica da lui firmati, l'attuale inquilino del Viminale Matteo Piantedosi per riferire dell'operato di Salvini al ministero (del quale era capo del gabinetto) e Maurizio Gasparri per gli attacchi riservati via internet allo scrittore.
Tra gli altri testimoni diversi rappresentanti del mondo delle Ong, il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, la cui associazione ha stilato un report sul linguaggio adottato dai leader in campagna elettorale, e il giornalista Corrado Formigli, protagonista del talk Piazzapulita in cui andò in scena, nel dicembre 2020, il «j' accuse» di Saviano. In quanto a Meloni, ovviamente assente per l'impegno al G20 di Bali, è stata rappresentata dall'avvocato Luca Libra che non ha escluso una remissione della denuncia: «La querela nasce dal livore utilizzato - ha detto il legale della premier- Ho insegnato a mio figlio chela parola "bastardo" è un'offesa. Valuteremo comunque se ritirare la querela». Parole che sembrano aprire a una soluzione extragiudiziale, ma che potrebbero essere vanificate dall'intenzione di Saviano di non ritirare gli insulti dell'epoca. Lo si scoprirà nelle prossime settimane.