il paese che riparte
Il presidente di Confindustria Giovani: “Mai più politica delle mancette. Risorse a chi crea lavoro”
L'impresa è e sarà centrale per il nostro futuro. Servono regole e condizioni per permetterle di fare sviluppo, mettendo in campo tutte quelle energie che essa deve e può assicurare. Di qui il confronto con Riccardo Di Stefano, presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, riuniti in questi giorni per il loro 37° convegno, dal titolo emblematico: «Energie. Per cambiare epoca».
Presidente Di Stefano, di nuovo all'appuntamento di Capri dopo gli anni difficili della pandemia, rispetto alla quale non abbassare la guardia, con il conflitto russo-ucraino a destare ulteriore preoccupazione anche per le imprese. Quali le sue considerazioni preliminari rispetto allo scenario attuale?
«Lo scoppio della guerra in Ucraina ha evidenziato fenomeni economici che preoccupavano già prima. Ad esempio il costo delle materie prime, che azzera i margini delle imprese e minaccia di bloccare le produzioni, si era innalzato ben prima del conflitto. L'inflazione ha raggiunto un +8,9% a settembre, il più alto dagli anni '80. Ancor più grave la notizia che arriva dalla BCE, secondo cui l'inflazione si manterrà elevata anche nel 2024 rischiando di produrre conseguenze. La dipendenza energetica italiana ed europea dalla Russia in realtà è una questione, anch'essa, risalente a scelte miopi di decenni passati: nessun imprenditore si affiderebbe a un unico fornitore. Le risposte dell'Europa alle crisi come il Pnrr sono da cogliere, in tutto il potenziale e con rapidità. Un altro fattore da risolvere è la burocrazia, che rappresenta un freno, un costo, per le imprese. Di conseguenza per la società tutta».
Messa in condizione di farlo, infatti, l'impresa gioca un ruolo «sociale» fondamentale...
«Assolutamente. Le nostre imprese sono e continueranno a essere creatrici di benessere, punti di riferimento nei territori, luoghi di crescita per chi ci lavora. Ma bisogna sostenerle, in fretta: hanno bisogno di ricevere energie e orientarle tutte per risolvere la difficile congiutura. Partiamo da subito: la Legge di Bilancio è da realizzare in tempi record. Se non si potranno reperire risorse nei meandri dei mille miliardi di spesa pubblica annuale, uno scostamento di bilancio potrebbe essere necessario per tutelare posti di lavoro. E le imprese che, ricordiamolo, li creano».
L'attenzione va rivolta anche, e soprattutto, alle generazioni future...
«Le nuove generazioni sono un grande potenziale di energie, economiche e culturali. Abbiamo dati e numeri che dimostrano come gli imprenditori di nuova generazione possano dare un contributo decisivo, in termini generali e rispetto ad ambiti specifici e altamente strategici. Penso alla digitalizzazione e alla «transizione verde». L'Italia è al 1° posto in Europa per gli indicatori più importanti dell'economia circolare. La nostra industria avvia al riciclo oltre il 79% dei rifiuti speciali prodotti - il doppio della media europea - e il 73% dei rifiuti da imballaggio, raggiungendo, con 9 anni di anticipo, l'obiettivo europeo del 70% al 2030. Ma occorrono politiche industriali per rafforzare le filiere produttive e costruirne di nuove».
E sul digitale?
«Non possiamo ignorare la posizione di svantaggio tecnologico digitale da cui partono sia l'Italia che l'Europa, di fronte ai giganti Stati Uniti e Cina. Nello sviluppo digitale noi vediamo una grande opportunità perla nascita di nuove aziende. In esso c'è il futuro della manifattura. Ragione per cui chiediamo di rafforzare Transizione 4.0: dobbiamo essere non fruitori ma «produttori» di tecnologie. Dobbiamo investire nelle tecnologie abilitan ti chiave (KET Key Enabling Technologies) in stretta collaborazione pubblico-privato».
Messaggi centrali in vista dell'insediamento di un nuovo esecutivo. Cosa vi aspettate?
«Dal nuovo Governo ci aspettiamo autorevolezza, competenza e responsabilità per far fronte all'emergenza con provvedimenti importanti. Non dimentichiamoci del lavoro, di chi produce e di chi ha ancora redditi troppo bassi. Il benessere del lavoratore è strettamente legato a quello dell'impresa.
L'Italia è ancora il Paese in cui, per ogni lavoratore che riceve 100 euro di aumento, c'è un'azienda che deve pagarne oltre 200. Il Paese con il cuneo fiscale tra i più elevati fra i paesi Ocse e in Europa: il 46,5% (il 50,3% se inclusivo di TFR e INAIL), contro una media europea del 42,0%. Bisogna intervenire subito tagliando il costo del lavoro, concentrandosi sui redditi medio-bassi, riconfigurando la nostra spesa pubblica».
È il momento di politiche attive, di sviluppo. Non assistenzialismo, mi pare di capire.
«Decisamente, questo non è il momento delle "mancette": è il momento di restituire risorse a chi lavora e produce. In Italia la povertà è ai massimi storici, con 5,6 milioni di persone in povertà assoluta. La protezione offerta dal Reddito di cittadinanza, da sola, non basta. È necessaria una profonda riforma delle politiche attive e del Reddito di cittadinanza come strumento di reimmissione nel mercato del lavoro. È cruciale che, chi può, lavori».
In chiusura, quali secondo lei le azioni necessarie contro il caro energia?
«Dobbiamo proseguire nella strada di diversificazione del mix energetico anche investendo sulla ricerca per il nucleare di ultima generazione, accelerare le procedure per la costruzione o l'esercizio di impianti per le fonti rinnovabili, i termovalorizzatori e i rigassificatori. Inserire con il sostegno dell'Europa un tetto al prezzo del gas e, come si sta iniziando a valutare, noi siamo favorevoli all'introduzione di un meccanismo sul modello di Sure di solidarietà europea per fronteggiare questa grave emergenza. Il quadro che ho tratteggiato è duro, ma mi sono soffermato sulle soluzioni per fare sviluppo. Abbiamo energie e potenziale per farlo: le condizioni devono consentirci di invertire la rotta che, con le nostre forze e la nostra grande volontà, possiamo indirizzare verso un futuro di benessere condiviso. È quello per cui l'impresa deve e vuole esistere».