Tagadà, "quanto durerà la guerra". La previsione da incubo di Paolo Mieli dopo Kaliningrad. Doppio choc
“Kaliningrad non è come il corridoio di Danzica. E’ stupido pensare che ora in Ucraina ci sia una possibilità di pace”. Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera, in collegamento con il programma Tagadà su LA7, giovedì 23 giugno, racconta a che punto è la guerra. “Il parallelo con Danzica funziona fino a un certo punto, Kaliningrad è già russa, ma è circondata da paesi Nato cioè Finlandia (non ancora ufficialmente, nda) e Polonia e questo rende la zona esplosiva” ha detto Mieli prima di rivelare perché la Finlandia ha annunciato che reagirà se sarà attaccata militarmente: “E’ un modo per andare in aiuto all’Ucraina e dire che la storia non finisce qui. Applicherà le sanzioni in maniera inaspettatamente rigida per far capire ai russi che se pure sterminano tutti gli ucraini nel Donbass, non staranno tranquilli”.
Mieli ha evidenziato che la conquista del Donbass, data per scontata fin dal 24 febbraio, è ancora da realizzare e se con l’arrivo delle nuove armi dagli USA (oggi sono stati consegnati i lanciarazzi Himars), i soldati di Kiev riuscissero a riprendere il controllo di Kherson, si riaprirebbero i giochi. E qui lo scrittore tira le orecchie agli occidentali: “La visione che ha il popolo, l’opinione pubblica, la tv con i suoi dibattiti, i giornali nei paesi europei e in Italia per cui che ci vuole, basta lasciargli il Donbass, i russi si accontentano e arriva la pace è una stupidaggine colossale. Non sta in piedi né eticamente né sotto il profilo militare. Dobbiamo capire che la guerra durerà quantomeno tutta l’estate perché verso la metà di luglio l’Ucraina avrà le armi americane, la Russia risponderà e sarà un’altra partita”.
Per Paolo Mieli, la classe dirigente europea ha le idee chiare a differenza di una parte dei mass media (influenzati dalla propaganda russa) promuovono l’idea che “la pace sia lì, a portata di mano ma per mancanza di volontà si preferisce dare le armi. La pace non c’è!”. A sostegno del suo ragionamento, il decano dei giornalisti fa presente che quando Mosca intima a Kiev di accettare “tutte le nostre richieste”, siamo di fronte a un accordo capestro non a un negoziato.