Rai, Bruno Vespa stronca Alessandro Orsini: "Mai a Porta a Porta". Le due parole che disintegrano il prof
Il giornalismo deve raccontare i fatti o indirizzare i giudizi dei lettori? Si devono scegliere le persone da invitare ad una trasmissione televisiva o da ospitare sulle pagine di un quotidiano in base alla propria autorevolezza o alle proprie idee? Un tema vecchio quanto il mondo che, durante due emergenze secolari, come la pandemia e la guerra, è tornato di strettissima attualità. E sul quale uno dei fuoriclasse della televisione di Stato, Bruno Vespa, in un'intervista al quotidiano “La Repubblica”, dice la sua.
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Come al solito in modo schietto e senza troppi peli sulla lingua. “È un mio difetto, ma non ho ascoltato il professor Orsini. Se è vero quello che leggo, non lo inviterei a Porta a Porta. La pandemia ci ha insegnato quanti danni può fare una informazione distorta. L'estremismo no vax portato in televisione ha sulla coscienza tante anime fragili. Con la guerra non si può commettere lo stesso errore. È in gioco la civiltà occidentale, la libertà per cui si sono battuti i nostri padri. Da una legittima critica agli errori degli ucraini in passato, non si può passare al né né tipico di troppi italiani”.
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Affermazioni che scateneranno certamente un vespaio di polemiche. Perché la Rai è pagata grazie al canone e, quindi, con i soldi dei contribuenti italiani. Ma soprattutto perché, sotto sotto, esiste una fetta consistente della politica e della società del nostro Paese, convinta che le ragioni non siano tutte dalla parte dell'Ucraina. E che le responsabilità dello scoppio della guerra non siano tutte della Russia.
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“Non giudico il lavoro dei miei colleghi e Bianca Berlinguer è una brava professionista. In ogni trasmissione, se si usano toni troppo alti, si stona e il pubblico deve tapparsi le orecchie. Un conto è il confronto, altro è la rissa. Ed è facile portare lo spettatore meno informato fuori dei sentieri della storia”. Bruno Vespa, infine, torna sulla famigerata trasmissione alla quale vennero invitati i Casamonica. “Non mi pento dell'intervista, ma di averla fatta in studio. Quelle poltrone, a torto o a ragione, hanno un minimo di sacralità”.
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